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NON E’ SEMPRE ORO, QUEL CHE LUCCICA

Non è sempre oro, quel che luccica

Più passano gli anni e sempre più frequentemente si verificano eventi - in ambito geo-politico, climatico, economico – con impatti importanti nei mercati finanziari.
Questo non fa che avvalorare ulteriormente il principio che chi INVESTE non lo deve fare con l’illusione di diventare ricco bensì al fine di PRESERVARE - e nel tempo ACCRESCERE - il proprio patrimonio.

A tal proposito è, innanzitutto, indispensabile tenersi alla larga da tutti coloro che millantano:
- di saper prevedere volta per volta i futuri movimenti dei mercati;
- di disporre in via esclusiva di prodotti finanziari “super fighissimi” in grado di dare guadagni certi e capitali garantiti;
- di utilizzare tecniche operative perennemente in utile.

Cari lettori: il “Campo dei Miracoli” della favola di Pinocchio “dove se fai una piccola buca e ci metti dentro uno zecchino d’oro, la mattina dopo trovi un bell’albero carico di tanti zecchini d’oro”, non esiste !
Nel mondo degli investimenti - come in ogni altro settore – “non è sempre oro, quel che luccica” anzi per dirla più chiaramente: “solo talvolta quel che luccica è oro”.

Ricordato questo, è quindi essenziale che ogni investitore - nel decidere a chi affidare i propri capitali – cerchi di scegliere una banca ed un consulente che si distingua rispetto altri in termini di:
- serietà professionale;
- capacità nel saperlo tener lontano da tutti quei rischi, falsi miti, modus operandi sbagliati in grado di mettere in pericolo l’esistenza stessa del suo patrimonio;
- saper parlare, spiegare le cose, gestire il portafoglio finanziario in maniera semplice, chiara ed efficiente al fine di conservare il suo potere di acquisto e negli anni accrescerlo.

E quando si dice “negli anni” si devono intendere dai 5-7 anni in su: statistiche sul mercato azionario americano (dal 1950) dimostrano che gli investimenti con orizzonte temporale di 5 anni si sono chiusi positivamente l’87% delle volte; aumentando la durata a 7 anni, il 91% delle volte.
In altre parole più si ha pazienza (e quindi più a lungo  si resta investiti) e più i ritorni  sono  positivi.

Tornando al titolo “Non è sempre oro, quel che luccica” prendo lo spunto per dedicare la seconda parte di questo report proprio all’oro quale asset da tenere in considerazione per investirci una parte delle proprie disponibilità.

Oro:
- da sempre considerato bene rifugio per eccellenza, in auge soprattutto nei periodi di incertezza, di crisi geopolitiche, di inflazione;
- riferimento spesso di tante monete nazionali ed ancor oggi usato come valore di riserva dalle banche centrali di tutto il mondo che nel 2022 hanno incrementato le proprie riserve auree di ben 1.136 tonnellate (il più grande aumento di riserve di oro degli ultimi 70 anni);
- le cui quotazioni, in questo nuovo millennio, sono esplose passando dai 290 dollari l’oncia (un’oncia corrisponde a circa 31 grammi) di fine 1999 ai quasi 2.000 dollari degli ultimi 3 anni: una crescita quindi del 600%.

Oro che all’interno di un portafoglio di investimenti - nelle giuste proporzioni – potrebbe quindi svolgere un importante ruolo di diversificazione e stabilizzazione aiutando anche a migliorare le performance.

A questo punto è doveroso precisare che in considerazione di alcune importanti questioni legate all’acquisto diretto di monete o lingotti (quali la scelta della controparte da cui comprare ed a cui rivendere l’oro, lo spread esistente tra prezzo d’acquisto e prezzo di vendita, i costi ed i rischi legati alla custodia, la fiscalità, ecc) io faccio, qui, riferimento solo all’investimento tramite strumenti finanziari quali potrebbero essere gli ETC sull’oro fisico.

ETC che sono in pratica dei certificati emessi da istituzioni finanziarie internazionali (Amundi, Invesco, Blackrock, WisdomTree, ecc), negoziati quotidianamente sui mercati finanziari, con differenziali acquisto-vendita contenuti e costi di gestione limitati.
ETC comunque garantiti dal possesso fisico del bene sottostante: ad esempio l’ETC sull’oro fisico più importante in termini di masse  quotato a Milano (con un patrimonio di 15 miliardi di euro) è quello emesso da Invesco ed è garantito da una riserva di oro fisico custodita nei caveau di J.P. Morgan Chase Bank a Londra.

E per terminare una curiosità: l’oro - lavorato in sottili fiocchi e trattato con procedimenti particolari - è anche commestibile, non altera i sapori e diventa quindi ideale per la decorazione di cibi e bevande.
Io comunque ci andrei piano a mangiarlo: alla fine potrebbe rimanere pesante (soprattutto per il conto) !

 

Filippo Cordella
Private Banker
Fideuram-Intesa Sanpaolo Private Banking
Ancona-Civitanova-Jesi-Senigallia-Pesaro
Cell: 3200222185

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COMPITI PER LE VACANZE

Compiti per le vacanze

Curioso forse sapere che il verbo “investire” deriva dal latino e significa "coprire con una veste, rivestire": da qui il significato di dare ai risparmi una nuova veste "investendoli" in titoli o altri strumenti finanziari.

Molto utile sicuramente comprendere che quando si “investe” è come se si “dessero in prestito” i propri risparmi ad una società, ad una banca, ad una assicurazione, ad uno Stato con l’obiettivo poi di riaverli indietro per un importo maggiorato.

E visto che del nostro futuro, vi è solo una cosa certa (che non nomino nemmeno) dovremmo essere sempre consapevoli che quella società, banca, assicurazione o Stato fra 5 o 10 anni potrebbe non esistere più o, semplicemente, non essere più in grado di ridarci tutti i nostri soldi.
Da ciò ne consegue che le parole “certo”, “sicuro”, “garantito” nel mondo degli investimenti dovrebbero essere usate con molta "parsimonia".

Ad esempio una frase del tipo: “l’obbligazione emessa dalla società Alfa Spa (nome di fantasia) con scadenza a 5 anni e cedola 3% è SICURA e con rendimento CERTO” dovremmo tradurla all’incirca così: “la società Alfa Spa è impegnata contrattualmente - nei confronti di coloro che sottoscrivono le sue obbligazioni - a pagare ogni anno un interesse del 3% e a rimborsarle alla scadenza. Non si deve quindi escludere la possibilità che – dopo magari 4 anni – ALFA SPA non sia più in grado di onorare i suoi impegni con la conseguenza che l’investitore potrebbe non ricevere più né gli interessi, né il rimborso del capitale alla scadenza dei 5 anni”.

Il discorso, ovviamente, vale per tutte le obbligazioni, i certificati di deposito, i titoli di stato, le polizze vita rivalutabili, ecc per i quali - quindi - la “garanzia del capitale, la sicurezza del rendimento” non è fornita da “entità extraterrestri o sovrannaturali” ma – semplicemente – dalle stesse società, banche, assicurazioni, Stati che hanno emesso tali strumenti.

A tal proposito basta vedere ciò che solo pochi mesi fa è successo ad alcune banche negli Stati Uniti (Silicon Valley Bank, First Republic Bank, Silvergate Bank, Signature Bank) ed in Europa (Credito Svizzero): banche “collassate” per problemi di liquidità/solvibilità con pesanti conseguenze per azionisti ed obbligazionisti.

Oppure – rimanendo in Italia – si veda la vicenda di Eurovita con il blocco dei riscatti deciso lo scorso febbraio dall’Ivass in conseguenza del fatto che la Compagnia non era più in grado di garantire il rimborso di quanto versato dai clienti sulle polizze vita rivalutabili: cioè di quelle con “garanzia del capitale”.

Sulla scorta di tutto ciò, risulta quindi indispensabile:

1) valutare sempre la solidità patrimoniale delle società, banche, compagnie assicurative, Stati in cui si va ad investire per verificare che il loro capitale sia coerente con gli impegni assunti tramite le obbligazioni/certificati/polizze emesse;

2) costruire e mantenere un portafoglio finanziario correttamente ed ampiamente diversificato: un portafoglio cioè dove il rischio di “non riavere indietro i capitali” risulti ripartito tra decine/centinaia di emittenti in maniera che se anche qualcuno di questi dovesse – in futuro – avere dei problemi, l’impatto sul portafoglio risulterebbe limitato ed assorbito dai guadagni realizzati sugli altri titoli.

COMPITI PER LE VACANZE
In relazione a quanto sopra esposto, ogni investitore/lettore di questo report dovrà fare una relazione in cui indichi per quanto e su quali società, banche, assicurazioni, Stati è attualmente investito.

Il quaderno con il compito svolto, dovrà essermi consegnato "al rientro a scuola a settembre".

Per il momento, buone vacanze a tutti !

 

Filippo Cordella
Private Banker
Fideuram-Intesa Sanpaolo Private Banking
Ancona-Civitanova-Jesi-Senigallia-Pesaro
Cell: 3200222185

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INTELLIGENZA ARTIFICIALE O UMANA ?

Intelligenza artificiale o umana ?

Alzi la mano chi ha sentito parlare in questi mesi di ChatGPT: ritengo in tanti.

Io – in ragione della curiosità che ho per le novità – l’ho anche  provata.

ChatGPT è un nuovo servizio disponibile sul web in grado sia di dare una risposta a qualsiasi domanda gli venga posta, sia di creare e fornire tutta una serie di contenuti multimodali (gli si può ad esempio chiedere di scrivere un libro o una poesia in rima, così come gli possiamo inviare la foto del nostro frigorifero e chiedergli - con i prodotti che abbiamo – di inventarci una ricetta per la cena).

Siamo quindi nel filone dell’intelligenza artificiale generativa in grado di apprendere dai miliardi di testi e contenuti che gli vengono dati in “pasto”, dalle esperienze e dalle interazioni con gli umani.

Intelligenza artificiale destinata, volente o nolente, a rivoluzionare nel prossimo futuro il nostro modo di vivere, imparare, lavorare.
Così come nei decenni passati la tecnologia e l’automazione avevano provocato la sostituzione delle persone con le macchine in quelli che erano i lavori manuali più pesanti, un domani ormai prossimo l’intelligenza artificiale metterà in discussione buona parte delle attività professionali ed intellettuali oggi esistenti.

Motivo per cui ho deciso di raccogliere quante più informazioni possibili, toccare con mano e mettere subito alla prova questa benedetta ChatGPT ponendogli alcune domande.
Qui di seguito ne riporto due (riguardanti la mia materia) a cui la “macchina” ha dato risposte alquanto “singolari”:

Primo quesito:

  • FILIPPO: “Se c’è il rischio che l’inflazione salga nei prossimi anni, oggi è meglio investire in bot (quindi ad un anno) o in btp a 10 anni ?”
  • CHATGPT: “Se si prevede che l’inflazione aumenterà nei prossimi anni, potrebbe essere più vantaggioso investire in un BTP (Buono del Tesoro Poliennale) a 10 anni rispetto a un Bot (Buono Ordinario del Tesoro) a breve termine.”

Neanche per idea, qui siamo all’ABC della finanza e delle regole d’investimento: il da farsi è esattamente il contrario di quanto proposto dalla chat.

Il perché lo possiamo facilmente comprendere ricordando, ad esempio, come ad inizio 2022 in presenza di un’inflazione che aveva cominciato a salire (4%) ed in uno scenario propedeutico al proseguimento della crescita dei prezzi (e quindi anche dei tassi di interesse), nel mio report “Meglio una gallina domani…” (del 29/1/2022) sconsigliavo vivamente di fare BTP a lunga scadenza.

Non è stato poi un caso che coloro che hanno, comunque, deciso di acquistare BTP decennali allo +0,5% (era questo il rendimento), trascorso appena un anno (cioè ad inizio 2023) si sono ritrovati con una perdita in conto capitale del 25%  mentre chi, dando retta a Filippo, ha scelto di impiegare la propria liquidità in un Bot, in primis, non ha visto crollare il valore del proprio investimento e, in secundis, a gennaio 2023 ha avuto la possibilità di acquistarsi un titolo di stato decennale al 4,5% di rendimento annuo !

Secondo quesito:

  • FILIPPO: “Se ho un mutuo a tasso fisso al 2% e l’inflazione è al 5% mi conviene chiedere la rinegoziazione per passare al variabile?”
  • CHATGPT: “In un contesto di inflazione in aumento come quello descritto, potrebbe essere conveniente considerare la rinegoziazione del mutuo e passare al tasso variabile...”

Bel consiglio…..! Così facendo mi condanneresti ad andare a pagare interessi attorno al 4%-5% (cioè vicino al livello dell’inflazione) anziché al 2% dell’attuale mutuo a tasso fisso: fortuna che non ti sto ad ascoltare (……. e che non ho alcun mutuo da pagare !)

  • CHATGPT:: (proseguendo) “se il tasso fisso del tuo mutuo è al 2% e l’inflazione è al 5% significa che il valore reale del tuo debito sta diminuendo più lentamente rispetto all’inflazione stessa”

Aiuto, che cosa sta blaterando questa chat ? Siamo ai livelli della “Supercazzola prematurata” del film “Amici Miei” di Monicelli.

E’ quindi chiaro come l’intelligenza artificiale evidenzi ancora palesi “allucinazioni”.
Allucinazioni che pur essendo destinate nel tempo a ridursi (grazie anche all’intervento di migliaia di persone pagate per correggere gli errori e all’uso di evoluti algoritmi) saranno – in futuro - individuabili solo da chi è bene a conoscenza degli argomenti in questione.

In altre parole c’è un rischio altissimo che questi nuovi servizi vengano, erroneamente, percepiti ed utilizzati come se fossero i nuovi oracoli, dispensatori di verità assolute e risposte incontrovertibili .

Verità, risposte e contenuti che – oltretutto - potranno essere facilmente “modellati” alle esigenze commerciali, finanziarie, politiche delle aziende/lobby/governi dominanti.

In conclusione: ben vengano questi nuovi servizi ma attenzione a tenere sempre su “ON” l’interruttore della nostra intelligenza, morale, etica, buon senso, rispetto per gli altri.

 

Filippo Cordella
Private Banker
Fideuram-Intesa Sanpaolo Private Banking
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LA PROSSIMA VOLTA NASCO IN NORVEGIA

La prossima volta nasco in Norvegia

C’è una nazione in Europa, la Norvegia, dove nel momento in cui nasci hai già un tesoretto da utilizzare nella tua vita di 250.000 €.

Ce n’è un’altra, l’Italia, dove invece non appena vieni al mondo hai già 50.000 € di debiti sulle spalle (debito pubblico italiano diviso il numero di italiani).

Strana la vita, eh ? Si, molto strana.

E’ bene innanzitutto sapere che la Norvegia gode del massimo giudizio di affidabilità (tripla A) sui propri titoli di stato, ha una forte stabilità politica e una buona situazione dei principali indicatori economici.
Un Paese che da una parte è il settimo esportatore mondiale di petrolio (il “Brent” che è quello della migliore qualità e quindi col prezzo più alto) ed il terzo di gas e, dall’altra, è tra i più virtuosi nella transizione ecologica, con elettricità e riscaldamento generati pressoché totalmente da fonti rinnovabili.

La Norvegia, inoltre, si situa ai vertici delle classifiche internazionali per qualità di vita e grado di felicità degli abitanti: felici – tra l’altro – di avere un reddito pro-capite tra i più elevati al mondo (71.000 € annui contro i 21.000 € degli italiani) e, come dicevamo in premessa, di poter disporre già dalla nascita di un tesoretto per la propria vecchiaia di circa 250.000 euro grazie al “Government Pension Fund”, il fondo sovrano più grande al mondo gestito dallo Stato ed alimentato dai proventi derivanti dalle esportazioni di petrolio e gas.

Un fondo di quasi 1.400 miliardi di euro (considerando che i norvegesi sono 5 milioni e mezzo, è facile calcolare la dote a disposizione di ognuno) istituito nel 1994 e sorto grazie allo spirito previdente dei governanti norvegesi che, dopo aver scoperto al largo del Paese uno dei giacimenti di petrolio più grandi al mondo, decisero di mantenere una partecipazione di controllo nelle principali aziende petrolifere, accumulare gli introiti derivanti dalla vendita di petrolio e gas ed investirli al meglio al fine di assicurare a tutti i cittadini una futura dignitosa pensione.

Un fondo, oltretutto, gestito seguendo solidi principi etici (neanche una “corona” può essere investita in imprese che svolgano attività in violazione dei diritti umani o che risultino nocive per l’ambiente) e basata sulla massima diversificazione in termini:

  • geografici: il fondo investe su 73 differenti paesi (l’Italia pesa per l’1,4%)
  • di emittenti: il portafoglio è composto da ben 9.158 titoli;
  • di asset class: azionario (70%), obbligazionario (25%), real estate ed infrastrutture per energie rinnovabili (5%).

Logiche (diversificazione, decorrelazione, utilizzo di strumenti finanziari semplici, orientamento crescente verso investimenti sostenibili dal punto di vista ambientale e sociale) che personalmente mi ritrovo tutti i giorni ad applicare nella gestione dei patrimoni dei miei clienti.

E’ bene poi evidenziare che, vista l’imponenza in termini di importo ed i buoni risultati realizzati fin dalla sua costituzione (un rendimento annuo medio di quasi il 6%), le scelte di investimento prese tempo per tempo dal fondo sovrano norvegese vengono sistematicamente emulate dagli investitori di tutto il mondo.

Un 6% di rendimento annuo tenuto conto, ovviamente, delle tante e gravi crisi finanziarie verificatesi in questi anni: da quella originatasi con gli attentati alle Torri Gemelle a quella di Lehman Brothers, da quella della crisi del debito sovrano a quella causata dalla pandemia del 2020, a quella del 2022 con la guerra in Ucraina e l’inflazione al 10%!

Un anno, il 2022, in cui è cambiato drasticamente il contesto macroeconomico e politico mondiale con pesantissime ripercussioni sui mercati finanziari: una contemporanea discesa del comparto azionario e di quello obbligazionario di oltre il 20% che non si era mai prima verificata!

E con riferimento all’obbligazionario (da sempre, ed impropriamente, considerato “porto sicuro” dagli investitori) è necessario evidenziare come addirittura il Titolo di Stato Tedesco (che gode della massima affidabilità con la tripla “A” assegnata dalle agenzie di credito internazionali) ha terminato con quotazioni in calo del 22% rispetto a quelle di inizio 2022 (il corrispondente Btp a 10 anni ha chiuso l’anno con una perdita del 26% !)

In tale contesto anche il fondo sovrano norvegese ha subìto una flessione di quasi il 19% (ultimo dato disponibile al 30/9/2022): un risultato certamente in linea con la “Caporetto” registrata dai mercati finanziari ma questa volta non all’altezza della sua reputazione di “stella polare degli investitori internazionali”.

Nonostante questo, resta comunque evidente il fatto che la Norvegia potrebbe davvero essere un bel posto dove andare a vivere anche perché, oltretutto, in Norvegia ci sono … le norvegesi che, a quel che si dice, sono tra le donne più belle del pianeta !

E con questa battuta, io mi sono giocato la possibilità di andarci – in Norvegia – anche solo per un week end ….. 😊

 

Filippo Cordella
Private Banker
Fideuram-Intesa Sanpaolo Private Banking
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VENGHINO, SIGNORI VENGHINO …

Venghino, Signori venghino ...

Venghino, Signori venghino al ‘Crypto Circus”: il circo finanziario più fantasioso e incredibile dove troverete criptovalute, stablecoin, valute digitali esotiche con cui realizzare in poco tempo guadagni straordinari !

Venghino, Signori venghino al ‘Crypto Circus” dove giocolieri, illusionisti, saltimbanchi, clown, funamboli provenienti da tutto il mondo Vi permetteranno di realizzare i sogni della vostra vita !

Venghino, Signori venghino, lo spettacolo del Grande Circo va ad iniziare……………….

Ecco – in sintesi – il senso dei miliardi di messaggi promozionali, post, fake news che – da circa 2 anni – hanno inondato le caselle di posta elettronica, i social network ed il web.

Questo fino a quando, qualche mese fa, una tempesta è scoppiata nel mondo delle criptovalute con crolli delle quotazioni, società di gestione con i libri in tribunale, interruzioni di attività, blocco dei rimborsi e milioni di persone (che si erano fatte ammaliare da queste sirene virtuali) rimaste pesantemente coinvolte.

E forse più che una tempesta (che ha comunque riportato un pizzico di ordine, serietà e prudenza nell’ambiente) è stato un vero e proprio tzunami visto che questo “Crypto Circus” che 8 mesi fa era arrivato a valere 3.000 miliardi di dollari, si è ridimensionato a circa un quinto di quel valore (quindi un crollo dell’80%), con ben 2.400 miliardi di dollari evaporati, svaniti, persi !

Un crash sviluppatosi non solo a causa della guerra in Ucraina, dell’inflazione alle stelle, dei timori di recessione (motivi che hanno portato incertezze e ribassi anche sui mercati finanziari con l’azionario a meno 25/30% e l’obbligazionario a meno 10/15%) ma, soprattutto, per la scarsa regolamentazione ed i pochi controlli esistenti in tema di transazioni in criptovalute, requisiti necessari per società ed operatori, tutela degli utenti.

Basta infatti ricordare che:
- al di là di alcune importanti società di exchange di criptovalute supervisionate dalle autorità finanziarie, al mondo ce ne sono oltre 600 al di fuori di qualsiasi controllo e sistema normativo;
- delle 17.500 criptovalute esistenti, buona parte non sono altro che “aria fritta” senza alcun valore intrinseco o garanzie sottostanti; si pensi, a titolo di esempio, all’esistenza di criptovalute quali PutinCoin (dedicata al leader russo), TrumpCoin (andava forte nel 2018), Garlicoin (incentrata sul pane all’aglio), PotCoin (da usare per acquisti di cannabis legale), Pepecash (nata per celebrare la rana di un cartone animato), Catcoin (creata per dar voce anche ai gatti visto che i cani potevano già disporne di diverse e di molto famose quali Dogecoin o Shiba Inu).

Alla luce di quanto detto, non deve quindi scandalizzare ciò che è successo, ad esempio, con TerraUSD, una delle più importanti stablecoin (cioè valute digitali “stabili”) che agganciata al dollaro con un sistema algoritmico prevedeva uno straordinario 20% di interessi annui a chi vi avesse convertito i propri denari. Ad inizio maggio emerge che, in realtà, non esiste alcun vero sistema di garanzia di questo rapporto binario col dollaro ed il valore della criptovaluta in pochi giorni si azzera bruciando decine di miliardi di dollari: dollari “reali” di coloro che erano rimasti affascinati dal fantastico 12% di interessi offerti (però in TerraUsd, cioè soldi “fittizi”).

O che Dogecoin che era diventata la quarta criptovaluta al mondo per capitalizzazione - in buona parte grazie ai discutibili tweet di Elon Musk - oggi si ritrova svalutata di oltre il 90% !!
A tal riguardo ritengo simpatico riportare la notizia che il patron di Tesla è stato citato in giudizio da un cittadino americano che accusandolo di "essere stato derubato attraverso lo schema piramidale del Dogecoin" gli ha chiesto un risarcimento di 258 miliardi di dollari.
Visto che il patrimonio di Musk è ad oggi stimato (fonte Bloomberg) 227 miliardi di dollari, nel caso (improbabile) in cui dovesse perdere la causa Elon Musk passerebbe, in un attimo, dall’essere l’uomo più ricco del mondo, a quello più povero del mondo !!. 😊

Ricordando che circa un anno fa avevamo affrontato questi argomenti con l’articolo “Bitcoin ? Si, con ghiaccio e limone”, mi permetto di terminare suggerendo a coloro che fossero interessati a giocare/scommettere  (non usiamo per favore la parola investire) in “crypto currency” – di farlo solo per qualche spicciolo e nella piena consapevolezza che la possibilità di crescita dei prezzi dipende (per la maggior parte delle criptovalute oggi esistenti) solo da considerazioni di carattere emotivo.
Rialzi comunque “a tempo” destinati a durare fino a che il “cerino” acceso da coloro che “inventano” certe valute virtuali non si sia consumato: e qualunque cerino dopo di un po’ si consuma bruciando  le dita di colui che in quel momento lo avesse in mano.

Recentemente Fabio Panetta, membro dell’Executive Board della Banca Centrale Europea (quindi non certo un quaquaraquà) durante un intervento alla Columbia University ha definito il mondo cripto, uno “schema Ponzi”.
Il classico sistema-truffa di investimento piramidale ideato negli Stati Uniti da Charles Ponzi nel 1920 e fondato su pochi essenziali presupposti:
- i guadagni derivano esclusivamente dalle quote versate dai nuovi investitori;
- ad incamerare il denaro sono solo i primi coinvolti;
- il sistema è destinato a concludersi, dal momento che non vi sono veri investimenti alla base che generano profitti.

Siori e Siore, lo spettacolo per adesso è finito ma - statene certi -  presto il “Crypto Circus” riaprirà i battenti più strabiliante, affascinante e travolgente che mai.


Filippo Cordella

Private Banker
Fideuram-Intesa Sanpaolo Private Banking
Ancona-Civitanova-Jesi-Senigallia-Fossombrone-Pesaro
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BAZZECOLE, QUISQUILIE, PINZILLACCHERE ….

Bazzecole, quisquilie, pinzillacchere ….

Tutti la conoscono, tutti ne sentono parlare ma di quali siano i danni che l’inflazione provoca davvero sui nostri risparmi ed investimenti solamente pochi ne sono davvero consapevoli.

Un anno fa (1/5/2021) nel post “Spendi, Spandi, Effendi ...” scrivevamo:
“[…] tanto più alta è la liquidità di un portafoglio e tanto maggiori sono gli effetti nefasti provocati dall’inflazione che, al momento, nell’Unione Europea sta viaggiando a + 1,3% e negli Usa a + 2,6% ...e sarà ancor più valido in considerazione dell’accelerazione attesa nei prossimi mesi quando si comincerà ad uscire da questa pandemia.”

Sette mesi fa (9/10/2021) su “Per fare l’albero, ci vuole il seme” aggiungevamo:
“[…] anche se le Banche Centrali continuano a sostenere che si tratta di una inflazione transitoria (in Europa siamo al 3,4% e negli Stati Uniti addirittura al 5,3%) e che presto tornerà sotto controllo, io ritengo che sia comunque utile incrementare le attività finanziarie legate ad asset reali e all’economia.”

Purtroppo non si poteva essere più precisi di così visto che l’inflazione è ad oggi arrivata al 7%-8% e difficilmente rientrerà in tempi brevi (neanche se Putin decidesse domattina di ritirare le sue truppe dall’Ucraina) poiché le cause sono in buona parte ascrivibili a fattori esogeni (strozzature delle catene di approvvigionamento, rincaro diffuso delle materie prime, cambiamenti climatici) e strutturali (transizione energetica e de-globalizzazione).
Cause che, quindi, non potranno essere efficacemente combattute dalle Banche Centrali con la solita arma dell’aumento dei tassi di interesse che, oltretutto, non potrebbero mai superare certi livelli - quelli dell’inflazione - sia perché condannerebbero l’economia mondiale ad una disastrosa recessione da cui sarebbe impossibile uscirne, sia perché - visto lo stock raggiunto dal debito globale - non sarebbero sostenibili da parte di chi (Stati, imprese) quegli interessi dovrebbe poi pagarli.

Risultato di tutto questo è che a fronte di prezzi di beni e servizi che stanno aumentando del 7-8% il rendimento medio offerto dai titoli di stato americani, tedeschi ed italiani è attorno allo 0,6% su scadenze ad un anno, al 2% a 5 anni, al 2,40% a 10 anni.
Siamo, quindi, in presenza di rendimenti pesantemente negativi in quella che può essere definita una situazione di “repressione finanziaria”.

Da Wikipedia: “Con il termine tecnico repressione finanziaria si intende una situazione economica in cui il risparmio genera rendite molto basse, inferiori al tasso di inflazione. Di conseguenza il tasso di interesse reale del debito pubblico è negativo. Si tratta quindi di una forma indiretta e non esplicita di ristrutturazione del debito pubblico.
Nel noto studio del Fondo Monetario Internazionale “The Liquidation of Government Debt”,si evidenzia come nel periodo del dopoguerra i bassi tassi di interesse e l’elevata inflazione hanno contribuito a erodere il debito pubblico reale che si era accumulato durante la seconda guerra mondiale.
Nell’arco di tempo 1945-1980 i tassi di interessi reali sono stati negativi per circa la metà del periodo. Per la precisione in media il debito pubblico è stato liquidato tramite tassi di interesse negativi nella misura del 3-4% all’anno, e in paesi come l’Italia o l’Australia, con inflazione più elevata, nella misura del 5% all’anno circa.”

Chiaro quindi che, se per i conti pubblici la repressione finanziaria rappresenta una “manna dal cielo”, per coloro che lasciassero “riposare” i propri averi in un conto corrente, in un certificato di deposito, in un’obbligazione a tasso fisso, sarebbe un vero e proprio disastro: su 100.000 € dopo un anno se ne volatilizzerebbero 7.000 € per colpa dell’inflazione (a fronte di soli 600 € di cedole incassate).
Non molto diverso sarebbe il risultato per chi impiegasse i propri 100.000 € su obbligazioni e/o titoli di stato a reddito fisso a più lungo termine: alla scadenza la perdita di potere di acquisto sarebbe ampiamente superiore agli interessi incassati oltre al rischio di subire forti oscillazioni dei prezzi (degne di investimenti con prospettive di rendimento ben superiori): ad esempio da inizio 2022 ad oggi i prezzi dei titoli governativi tedeschi ed americani sono scesi dell’11% e quelli del Btp del 14% !!

Prima di terminare rivolgo un pensiero al “povero” Giuliano Amato che rimarrà per sempre nella memoria degli italiani per colpa di quella patrimoniale dello 0,6% su c/c, depositi bancari e postali decisa dal suo governo il 10 luglio 1992: “bazzecole, quisquilie, pinzillacchere” - direbbe Totò - rispetto all’odierna “tassa occulta” dei rendimenti reali negativi (10 volte più pesante).

Una “tassa occulta” che potremmo – comunque - scegliere di non pagare impostando un portafoglio ben distribuito a livello geografico e correttamente diversificato in asset class tradizionali, componenti decorrelate, indicizzate all’inflazione, beni rifugio che in un orizzonte di 7-10 anni ci metta al riparo dai danni dell’inflazione.
Un portafoglio da trattare alla stregua di una pianta da frutto: con dedizione, pazienza e consapevolezza del fatto che nello scorrere del tempo si incontreranno anche periodi di gelo, vento, caldo afoso: periodi che, però, non impediranno alla nostra pianta - negli anni - di crescere e darci i suoi frutti.

Filippo Cordella
Private Banker
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MEGLIO UNA GALLINA DOMANI …

Meglio una gallina domani ...

 

Un vecchio proverbio recitava: “Meglio un uovo oggi che una gallina domani”. Ve lo ricordate ?   Si ?! Bene, dimenticatelo: nel mondo degli investimenti aveva poco senso prima e tanto meno ne ha adesso.

In linea generale la preferenza dell'uovo esprime la logica di chi vive alla giornata mentre quella della gallina (che di uova, nella sua vita, ne produce tante) rappresenta chi si adopera per assicurarsi un futuro tranquillo e prosperoso.

Finanziariamente parlando scegliere la gallina vuol dire, quindi, avviare un processo strutturato di investimento, ben articolato nelle diverse classi di attività e volto a garantire, nel tempo, il mantenimento del potere di acquisto del portafoglio oltre ad una sua ulteriore rivalutazione.

Per contro la scelta dell’uovo rappresenta la filosofia di chi tiene i propri soldi nel conto corrente, in depositi postali/bancari o – al massimo - in qualche obbligazione/titolo di stato nella convinzione di salvaguardare al meglio il proprio capitale.
Una filosofia che, però, ormai da qualche anno garantisce solo la perdita di parte dei propri risparmi.

“Impossibile”, qualcuno potrebbe asserire, “io mi metto i miei 100.000 € in titoli di stato italiani, francesi e tedeschi che scadono fra un anno e son sicuro del risultato“

FILIPPO (proseguendo a mo’ di dialogo): “Sig. Qualcuno, Lei ha perfettamente ragione: facendo così avrà la sicurezza matematica che il Suo capitale – fra un anno - sarà più basso (pur tenendo conto delle cedole incassate) rispetto a quello di oggi: la certezza, quindi, di perdere denaro.”

SIGNOR QUALCUNO: “Una perdita…io non capisco ?”

FILIPPO: “Esattamente una perdita di circa 600 € visto che il Btp ha un rendimento annuo NEGATIVO dello 0,46%, l’Oat francese di meno 0,66% ed il Bund tedesco di meno 0,68%”.

SIGNOR QUALCUNO: “Ma come: io investo e devo anche pagare ? E’ pazzesco !!!”

FILIPPO: “Ha ragione: è assurdo che chi presta denaro paghi e chi ha i debiti ci guadagni ma è questo il risultato delle politiche monetarie espansive adottate da qualche anno dalle banche centrali per contrastare il rallentamento economico mondiale (…. E per rendere più sostenibile la montagna di debiti che Stati ed aziende hanno accumulato).”

SIGNOR QUALCUNO: “Tutto a svantaggio mio …”

FILIPPO: “A svantaggio di chi continua a gestire i propri denari con la logica del risparmiatore e non dell’investitore: una logica che - in parte - poteva andare bene fino a qualche anno fa ma che oggi risulta particolarmente penalizzante.
Ancor di più perché ai 600 € di perdita (di cui si parlava prima) ce ne dovremmo aggiungere altri 4.000 € quale diminuzione di valore che Lei subirebbe per colpa dell’inflazione arrivata in Italia al 4% ed in Europa al 5% (… negli Stati Uniti al 7% !!)”

SIGNOR QUALCUNO: “Quindi se ho ben capito, dopo un anno, i miei 100.000 € verrebbero a valere – in concreto - poco più di 95.000 € !
E se anziché ad un anno, li investissi in identici titoli di stato ma con scadenza a 10 anni ?”

FILIPPO: “Tanto peggio perché con un rendimento nominale medio di +0,5% annuo la perdita di potere di acquisto - cioè la differenza tra inflazione e rendimento dell’investimento – che si accumulerebbe alla fine dei 10 anni potrebbe essere di alcune decine di punti percentuali.

Col rischio enorme, poi, di veder scendere il valore dell’investimento per colpa del quasi scontato (ed ormai iniziato) rialzo dei rendimenti: si ricordi che ogni 1% di rialzo dei rendimenti comporterebbe un calo dei prezzi dei Suoi titoli di circa il 10% !"

SIGNOR QUALCUNO: “E per i titoli di stato ed obbligazioni societarie che io ho già in portafoglio ?”

FILIPPO: “Il risultato non cambia: da qui alla scadenza il loro contributo al rendimento reale del Suo portafoglio difficilmente potrà risultare positivo.

Detto questo è bene, però, ricordare come una certa componente monetaria/obbligazionaria deve comunque starci all’interno di un portafoglio al fine della gestione della volatilità e delle esigenze di liquidità dell’investitore: una componente che deve però essere di qualità, nelle giuste proporzioni e tipologie, diversificata a livello internazionale e – ovviamente - con le opportune scadenze.”

SIGNOR QUALCUNO: “Ok: adesso ho capito la questione e mi sono reso ben conto che al fine di mantenere ed accrescere nel tempo il valore del mio patrimonio non posso continuare a fare ciò che per decenni ho fatto ma debbo cominciare a ragionare ed agire da investitore.”

FILIPPO: “Esatto: puntare all’uovo non solo non basta più ma risulta addirittura dannoso. E’ indispensabile quindi puntare alla gallina e che sia una gallina sana e bella al fine di garantirci uova per tutta la vita.”

Filippo Cordella
Private Banker
Fideuram-Intesa Sanpaolo Private Banking
Ancona-Civitanova-Jesi-Senigallia-Pesaro
Cell: 3200222185

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UN’EREDITA’ A PICCOLE DOSI

Un'eredità a piccole dosi

Normalmente uno dei desideri più grandi che abbiamo è che ciò che si è realizzato nella nostra vita possa essere, un domani, correttamente ripartito e serenamente goduto da chi rimane.

Per questioni, però, di scaramanzia e di scarsa consapevolezza di come vanno poi a volte le cose, quasi nessuno decide di prendere carta e penna e definire nello specifico come vorrebbe che fossero ripartiti i propri averi (solo l’8% degli italiani lo fa), rimettendosi completamente a quelle che sono le regole standard previste dalla legge in tema di successioni.

Regole certamente chiare ma che calate sulle mille diverse realtà esistenti finiscono, sovente, per creare problemi e contrasti a non finire tra gli eredi, tanto che le cause legali relative a questioni successorie sono tra le più frequenti in sede di giustizia civile.

È altrettanto vero che ci sono situazioni (patrimoniali e/o familiari) in cui un normale testamento potrebbe non essere sufficiente: ad esempio nel caso (non troppo raro) in cui i futuri eredi - per una loro propensione a gestire con poca oculatezza le finanze – possano essere a rischio di dissipare qualsiasi tipo di patrimonio che un domani dovessero ricevere.

In un simile caso, ove oltretutto il patrimonio fosse di una certa consistenza, si potrebbe prendere in considerazione l’utilizzo di uno strumento come il trust che – se ben strutturato – permetterebbe di eliminare questo rischio.

Vediamo in sintesi come funziona un trust.
Con il trust un soggetto (detto “disponente”) trasferisce un suo bene/patrimonio ad un altro soggetto (detto “trustee”) affinché lo gestisca per realizzare determinate finalità di natura imprenditoriale, finanziaria o familiare.

Il trustee è un “fiduciario” nel senso che dei beni ricevuti può disporne solo per quello che gli è stato indicato nell'atto istitutivo. Può essere una persona fisica (un professionista o un familiare di fiducia) o – meglio ancora - una società fiduciaria con specifiche strutture, competenze ed autorizzazioni (le più importanti sono legate a gruppi bancari).

I beni messi nel trust possono essere immobili, portafogli finanziari, aziende, mobili, ecc.

Nell’atto istitutivo di un trust il disponente stabilisce le regole, la durata, i beneficiari, i poteri del trustee, i poteri del “guardiano” (cioè di chi controlla l’operato del trustee), i criteri dell'amministrazione dei beni, l'impiego dei redditi, la destinazione finale dei beni…

Ricordo anche che nel 2016 con la famosa legge del “Dopo di Noi”, il legislatore italiano ha riconosciuto e “sdoganato” il trust quale importante strumento d’utilità sociale soprattutto in presenza di persone con disabilità fisiche o psichiche (prevedendo anche importanti sgravi fiscali).

Tornando alla situazione sopra descritta, lo strumento che si potrebbe usare è il cosiddetto “trust dormiente”: un trust, cioè, da istituire “oggi” ma con attivazione sospesa fino alla morte del disponente quando – e questa è l’ulteriore particolarità - il trustee non procederebbe a trasferire il patrimonio agli eredi ma provvederebbe a gestire gli immobili e le attività finanziarie erogando loro, ad esempio, per 10 anni una rendita di 10.000 € al mese con liquidazione finale del capitale residuo (ovviamente l’importo della rendita e la durata del periodo di distribuzione dipendono strettamente dall’entità del patrimonio).

Facile, quindi, comprendere come in questa maniera potremmo evitare che certi eredi - un po’ troppo allegri - brucino in pochi anni il patrimonio ereditato (rischiando di rimanere poi senza più nulla di che vivere) a fronte invece della ricezione di una utile rendita periodica.

Nella speranza di avere fornito qualche utile spunto di riflessione, faccio – seppur con un po’ di anticipo - i miei migliori auguri per un Sereno Natale.

Filippo Cordella
Private Banker
Fideuram-Intesa Sanpaolo Private Banking
Ancona-Civitanova-Jesi-Senigallia-Pesaro
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Sapere Potere Volere

Sapere Potere Volere

Qualche sera fa, tornando a casa da Bologna, mi scrive mia moglie su whatsapp e mi chiede di andare subito a comprare 4 cose “assolutamente necessarie per la cena”.

Dopo averle risposto con un laconico “OBBEDISCO” (lo stesso usato 155 anni fa da Garibaldi nel telegramma inviato al Generale La Marmora) decido - visto che erano quasi le 20 - di uscire immediatamente dall’autostrada per mettermi alla ricerca di un negozio.

Dopo poche centinaia di metri ne trovo subito uno: insegna ancora accesa “Buono & Bello Shop” (nome di fantasia che userò al posto di quello vero), ampio parcheggio: non ci penso un attimo, mi fermo ed entro.
Rimango subito colpito dalla quasi assenza di personale (sia nei reparti che alle casse), dai prezzi sicuramente non economici e – soprattutto – dal fatto che ogni prodotto sugli scaffali (dal latte, ai succhi di frutta, dagli affettati ai crackers, dal pecorino all’olio extravergine, dallo shampoo alla carta igienica, ecc ecc) era marcato “Buono & Bello Shop”.

La cosa mi spiazza un poco essendo io abituato - quando vado a fare la spesa - a scegliere per ogni prodotto quello della marca che io ritengo migliore; comunque in un quarto d’ora prendo le 4 cose ordinatemi da mia moglie (ops, cara  volevo dire “gentilmente richieste”), pago, esco e riparto per la mia amata Fossombrone.

Salito in auto mi vengono in mente alcune considerazioni:
1) possibile che i sistemi di selezione, produzione, lavorazione, conservazione e vendita dei prodotti adottati dalla catena “Buono & Bello Shop” siano davvero in grado di offrire ai clienti il meglio che esiste sul mercato ?
Difficile crederlo vista l’immensa gamma di marche oggi a disposizione;
2) possibile che i clienti di quella sera non percepissero l’importanza di andare invece in un altro supermercato dove, merce per merce, trovare ed acquistare i prodotti effettivamente migliori in termini di qualità, genuinità, sostenibilità ecologica, prezzi ?
Sicuramente tanti ne erano consapevoli ma la posizione del punto vendita, l’ampio parcheggio a disposizione, la comodità di non dover fare tanti ragionamenti affidandosi direttamente alle scelte fatte a monte da “Buono e Bello Shop” - probabilmente contavano di più.

Qualcuno adesso si chiederà: ma perché oggi Cordella ci fa questi discorsi ?
Semplice, perché anche quando si investono i propri denari funziona più o meno alla stessa maniera ed alla stessa maniera la differenza che c’è in termini di rendimenti ottenuti e di rischi assunti - tra l’investire i propri centomila euro sui prodotti dei migliori gestori al mondo rispetto che sui prodotti di una sola società di investimento/emittente - può essere davvero importante.

Per meglio comprendere questo ho realizzato 2 analisi sui risultati ottenuti da 105 società di gestione negli ultimi 3 anni nell’azionario statunitense e nell’obbligazionario globale.
Bene, la casa di investimenti risultata migliore nell’azionario (con un bel +146% a fronte di un indice che ha fatto il 72%) nell’obbligazionario è invece risultata al 72° posto (su 105 società).
Quella risultata peggiore nell’azionario (con un pessimo +17%), nell’obbligazionario è risultata 9°: quindi tra le migliori all’interno delle 105 società prese in considerazione.

Questo dimostra come non c’è alcuna società di investimento (né italiana, né estera) che possa essere considerata la migliore in senso assoluto visto che – come la mia analisi ha ben dimostrato – chi è magari eccellente nell’asset class obbligazionario corporate risulta poi scarsa nell’obbligazionario governativo, chi spicca nell’azionario tedesco è magari mediocre nell’azionario cinese, chi è da “10 in pagella” nell’immobiliare internazionale può essere da “4” nelle materie prime …

È corretto, comunque, chiarire che la performance non è l’unica variabile da tenere in considerazione per poter considerare un prodotto migliore di un altro: si deve valutare anche la rischiosità che un gestore rispetto ad un altro assume ed – ovviamente - i costi.
Per capirci: se ci sono 2 fondi che nell’ultimo anno (su un stessa  asset class) hanno entrambi fatto + 10% ma il primo ha una volatilità del 18% ed uno del 10%, il migliore da utilizzare sarebbe il secondo (sempre che i costi siano in linea a quelli del primo fondo).
A tal riguardo c’è tutta una serie di indicatori ed elementi da valutare quali l’indice di Sharpe, Sortino, Information Ratio, Alpha, Beta, Volatilità, Drawdown, costi di gestione, di sottoscrizione, di performance, penali di uscita, T.E.R. ….

In conclusione è indispensabile che il Private Banker a cui si è affidato la gestione del proprio patrimonio sappia - e soprattutto possa e voglia - scegliere quelli che davvero sono i migliori prodotti finanziari disponibili sul mercato.

 

Filippo Cordella
Private Banker
Fideuram-Intesa Sanpaolo Private Banking
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Per fare l’albero, ci vuole il seme …

Per fare l'albero, ci vuole il seme ...

Il caldo è passato, l’estate è finita e non c’è nulla di meglio (oddio, qualcosa ci potrebbe anche essere …..) che rimettermi la sera a scrivere qualche riflessione, pensiero, suggerimento che possa risultare utile a chi avesse un “gruzzoletto” da parte.

Un gruzzoletto che, normalmente, è frutto di sacrifici, lavoro, risparmi e, in quanto tale, dovrebbe essere trattato con la massima serietà e competenza anche perché, se ben gestito, potrebbe garantire un’importante integrazione ai propri futuri redditi.

Considerazione, questa, apparentemente scontata ma tutt’altro che chiara per alcune persone che nel gestire la propria ricchezza finanziaria non percepiscono altra esigenza se non quella di custodire quei  “100 semi” (allegoricamente parlando) che possiedono, in un bicchiere sopra al comodino in maniera da poterli ammirare e ricontare tutte le sere prima di addormentarsi.

Va da sé che se invece questi semi fossero correttamente interrati ed annaffiati, presto germinerebbero e le piantine - messe a dimora con la giusta esposizione, con gli opportuni sostegni e con i migliori concimi - crescerebbero rapidamente per iniziare presto a produrre tanti bei frutti (da mangiare, vendere, farci marmellate, succhi, ecc.)

E, guarda caso, anche in ambito finanziario, non c’è nulla di più inutile che lasciare riposare i propri averi dentro un salvadanaio, una cassetta di sicurezza o un conto corrente.

Abbiamo tutti lavorato intensamente, speso tanto tempo ed energie, sacrificato spesso la nostra vita privata ed il tempo libero per guadagnarci questi soldi che poi dovrebbero essere loro ad andare a lavorare per noi.
Mi sono spiegato ?  Dobbiamo mandare a lavorare i nostri soldi: e che lavorino giorno e notte, tutti i giorni della settimana, tutto l’anno, tutti gli anni.

Solo così il nostro attuale portafoglio dopo qualche anno diventerà un bel portafoglio (o il nostro attuale bel portafoglio, un grande portafoglio).

Ovvio che ognuno è libero di non fare questo e continuare “a lasciar riposare il proprio denaro”: l’importante è avere, però, la consapevolezza che così facendo non si potranno mai avere frutti da mangiare e che “i 100 semi lasciati sopra al comodino” non potranno in alcuna maniera aumentare. Anzi …

Anzi ci sarà sempre una “gazza ladra” – di nome inflazione - che nel tempo si mangerà parte di quelle sementi.
Una gazza che con un’inflazione ad esempio del 2%, dopo soli 10 anni, se ne sarà mangiati un quinto ! Ad esempio di 500.000 € iniziali se ne perderebbero 100.000 € (allora tanto valeva averli spesi subito in ostriche e champagne).

Una domanda a questo punto sorge spontanea: l’inflazione oggi c’è ?

Innanzitutto, è bene dire che l’inflazione in Italia (Istat docet) negli ultimi 72 anni c’è sempre stata (salvo in 5 occasioni) ed oggi stiamo viaggiando a + 2,1% (massimo da 8 anni) quando in Europa siamo al 3,4% (massimo degli ultimi 13 anni) e negli Stati Uniti addirittura al 5,3% (massimo degli ultimi 13 anni).
Colpa soprattutto del rincaro dei beni energetici (il gas naturale da inizio anno ha fatto + 80%, il petrolio il 50%), dei trasporti, delle materie prime e dei prodotti agricoli.

Non dimentichiamo, poi, che l’inflazione è benedetta dai debitori (cioè da chi deve restituire dei soldi) e maledetta dai creditori (cioè da chi li deve riavere), da chi investe in titoli di stato ed obbligazioni a reddito fisso e, soprattutto, da chi “lascia i semi sul comodino”.

Quindi anche se le Banche Centrali – al fine di dare tranquillità ai mercati e tenere a bada i tassi - continuano a sostenere che si tratta di una inflazione transitoria e che presto tornerà sotto controllo, io ritengo che sia comunque utile rifare un bel check up del portafoglio, dell’asset allocation e di quella che è la componente obbligazionaria, incrementando – se necessario - le attività finanziarie legate ad asset reali e all’economia.

E per chi avesse ancora “i semi nel bicchiere”, il mio suggerimento è quello di affidarli ad un buon “contadino”: serio, competente e con alle spalle una “azienda agricola” attrezzata.

 

Filippo Cordella
Private Banker
Fideuram-Intesa Sanpaolo Private Banking
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