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La Nina, la Pinta e la Santa Maria

La Nina, la Pinta e la Santa Maria

Lo spunto per la chiacchierata di questo mese l’ho trovato in alcune wazzappate (participio passato del verbo “wazzappare”) inviatemi da due simpatiche clienti, con il seguente tenore: “Filippo che ne diresti di investire su questi settori: education tech, cibo sostenibile e canapa farmaceutica ?”.

Pur concordando sul fatto che i settori indicati possano essere di un certo interesse, le risposte che ho dato alle signore sono state, l’una rispetto all’altra, assai differenti.

Perché ??  Perché il portafoglio delle due clienti, che per rispetto della privacy chiamerò Nina e Pinta, è alquanto diverso.

Prima, però, di esporre quelle che sono state le mie riflessioni, ritengo che possa essere utile chiarire alcune cose.

Il valore di mercato di un’azienda – a prescindere dal settore economico di appartenenza – cambia nel tempo a seconda del ciclo economico che si sta vivendo: ripresa, espansione, rallentamento, recessione.

A tal riguardo una semplice distinzione che possiamo fare tra i settori è quella tra ciclici e difensivi/anticiclici (un'altra potrebbe essere tra “value” e “growth”: ma non voglio complicarla troppo…).
Un settore è definibile ciclico quando è fortemente influenzato dall’andamento del ciclo economico: quando l’economia accelera, i risultati delle società cicliche tendono a migliorare mentre quando l’economia rallenta o entra in recessione a peggiorare più delle altre. I principali settori ciclici sono il finanziario, l’automobilistico, i beni e servizi per l’industria, la tecnologia, l’edilizia, ecc

Al contrario, i settori difensivi sono poco correlati con il ciclo economico e risentono meno di eventuali rallentamenti della crescita: si tratta di beni o servizi indispensabili a cui la gente tendenzialmente non rinuncia nemmeno in momenti di crisi. Pensiamo per esempio ai beni alimentari, al settore sanitario e farmaceutico, alle utility (acqua, gas, elettricità).
Proprio perché risentono meno delle fluttuazioni del ciclo economico, questi settori tendono a reggere il colpo di una recessione molto meglio rispetto ai settori ciclici ma allo stesso tempo risultano meno interessanti nelle fasi di espansione dell’economia.

Per loro natura i titoli ciclici tendono ad avere una volatilità maggiore, cioè amplificano i propri movimenti nel bene (ripresa/espansione) e nel male (rallentamento/recessione).
I titoli difensivi invece espongono solitamente a un rischio inferiore e producono risultati aziendali più regolari nel tempo.

Nel grafico qui sotto riporto l’andamento in Borsa negli ultimi 5 anni di un classico settore ciclico (Consumi Discrezionali: abbigliamento, arredamento, alberghi, ristoranti) e di un settore anticiclico (Consumi di Prima Necessità: prodotti alimentari, per la casa, per la persona).
Il primo ha avuto un rendimento annuo del 16,8% con una volatilità (oscillazione dei prezzi) del 18%.
Il secondo un rendimento annuo del 5,1% con una volatilità del 13%.
L’indice generale si è posizionato quasi in mezzo: rendimento annuo del 12,8% e volatilità del 16%.

Detto (e visto) questo risulta quindi chiaro come in un portafoglio finanziario ben costruito ci debba essere la presenza sia di una componente azionaria ciclica che anticiclica, proprio perché negli anni si alternano fasi espansive dell’economia a fasi di contrazione.

Componenti che nel tempo possono essere integrate con ulteriori  settori focalizzati magari su nuovi business quali, ad esempio, la transizione energetica, i cambiamenti climatici, l’economia circolare, la digitalizzazione, l’intelligenza artificiale: tutti settori questi che godono di una mia particolare predilezione.

Torniamo ora alla Nina ed alla Pinta.

Nina ha un ingente portafoglio costruito oltre 7 anni fa e ben strutturato in diverse asset class: obbligazionario governativo di qualità ed indicizzato all’inflazione, comparto immobiliare, oro, materie prime ed azionario internazionale. Componente, quest’ultima, diversificata sia dal punto di vista geografico (Stati Uniti, Europa e Grande Cina) che settoriale (presenza dei principali settori ciclici e difensivi più altri aggiunti recentemente quali la robotica e la nuova mobilità).
Con questa signora non potevo che essere d’accordo sull’eventuale aggiunta di titoli di aziende impegnate nell’ “education technology” e/o nel “sustainable food”.

Veniamo adesso alla Pinta, signora con un discreto patrimonio costituito, però, prevalentemente da liquidità in conto corrente dopo che, nel marzo del 2020 allo scoppio della pandemia, volle liquidare pressoché tutta la posizione azionaria con l’intenzione di rientrare in tempi migliori: da quei valori le borse internazionali sono salite del 70% ma la Pinta è ancora fuori del mercato.
Alla Signora non ho potuto che esprimere i miei dubbi sul fatto di tornare a reinvestire in Borsa concentrandosi su un unico settore (per di più quello della “cannabis terapeutica”): questo Le farebbe assumere il rischio specifico del settore scelto, un rischio normalmente più alto di quello del mercato in generale. Basterebbe infatti un evento negativo (geopolitico, commerciale o normativo) che colpisse il settore per assistere a pesanti ripercussioni sui prezzi.

L’ho quindi invitata, prima di tutto a ricostituire gradualmente una buona componente azionaria internazionale distribuita su tutti i principali settori merceologici e solo dopo, eventualmente, aggiungerci un po’ di …. “Maria”.

Questa che avete letto, è la storia de .......  la Nina, la Pinta e la Santa "Maria” !

 

Filippo Cordella
Private Banker
Fideuram-Intesa Sanpaolo Private Banking
Ancona-Civitanova-Jesi-Senigallia-Pesaro
Cell: 3200222185

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Bitcoin ? Sì, con ghiaccio e limone …

Bitcoin ? Sì, con ghiaccio e limone ...

Non passa settimana che non mi venga chiesto (1) cosa siano i bitcoin e (2) se non sia il caso di comprarne un po’.

Colgo quindi l’occasione per cercare di dare una risposta semplice e chiara a queste 2 domande.

Partiamo con la prima.

Il bitcoin è una moneta virtuale, non è fatta di carta o di metallo, non è emessa o garantita da una Banca Centrale o da uno Stato, non ha corso legale (cioè non deve essere obbligatoriamente accettata dalle persone in pagamento di un bene o in estinzione di un debito).

Nato 12 anni fa dall’idea del mai identificato Satoshi Nakamoto, il bitcoin è per così dire fatto di bit - cioè di calcoli matematici – e viene creato dai “miner” (minatori) attraverso un processo particolarmente complesso (che avrà comunque termine al raggiungimento di 21 milioni di “pezzi” creati).
“Minatori” che all’inizio erano giovani appassionati di informatica e hacker professionisti e che nel tempo – a seguito di processi e formule matematiche (necessarie per la creazione dei bitcoin) sempre più complesse – si sono uniti ed organizzati in strutture sempre più grandi (mining pool) con l’utilizzo di migliaia di computer di elevatissima capacità computazionale ed assorbimento energetico.

E qui emerge quello che è uno dei problemi più grandi di questa valuta, l’impatto ecologico:
- per pagare in bitcoin l’acquisto di un bene si consuma l’energia corrispondente a fare un milione di pagamenti con una normale carta di credito o bancomat;
- per creare i bitcoin si brucia in un anno tanta energia quanto quella consumata da una nazione come l’Olanda o l’Argentina;
- la gran parte dell’energia consumata nel creare ed utilizzare bitcoin deriva da fonti non rinnovabili.

Importante poi specificare che nella fase di trasferimento dei bitcoin da un conto ad un altro entra in gioco la blockchain, cioè un registro contabile basato su un articolato sistema di crittografia in grado di garantire la sicurezza del processo.
Tramite la blockchain gli acquisti e le vendite di bitcoin, così come le compravendite di beni fatte con i bitcoin, sono tracciabili ed anonime (nella blockchain è visibile la transazione ma non chi la esegue): questo significa che risalire a chi spende, a chi compra e a chi accumula bitcoin non è affatto facile anche se recenti normative a livello comunitario hanno adesso obbligato le grandi piattaforme ad identificare i clienti che fanno compravendite di criptovalute.

E’ interessante, infine, sapere che - nonostante il tanto clamore creatosi negli ultimi tempi attorno a questa criptovaluta - la sua diffusione è ancora molto bassa.
Il bitcoin era nato con l’obiettivo di essere disponibile per tutti e sostituirsi, come moneta, sia alla Banche Centrali che al sistema bancario privato (come strumento di pagamento): un sogno, però, totalmente disatteso visto che si stimano in solamente 40 milioni le persone che al mondo lo detengono (appena lo 0,5% degli abitanti del pianeta) con, oltretutto, pochi grandi soggetti (si dice 2.500) che possiedono oltre il 50% di tutti i bitcoin esistenti.

Veniamo adesso alla seconda risposta.

Il bitcoin non è ancorato all’economia reale, non ha un valore intrinseco (se non quello dell’energia utilizzata per crearlo) e, soprattutto, le sue quotazioni registrano delle fluttuazioni pazzesche: 10 volte maggiori rispetto a quelle dei mercati azionari (che già hanno una loro bella volatilità).
Per meglio chiarire il concetto ricordo che a metà aprile un bitcoin arrivò ad essere scambiato 64.700 dollari: neanche un mese dopo era, però, già tornato a 30.000 dollari: meno 54 per cento !

Ed è soprattutto a causa di questa volatilità stratosferica dei prezzi (in balia della speculazione e dei grandi possessori di bitcoin) e dell’assenza di regolamentazioni e tutele per gli investitori che io ritengo molto difficile considerare il bitcoin un investimento o una riserva di valore.

Ancor meno se poi allarghiamo il discorso alla marea di criptovalute oggi esistenti: circa 5.000.
Una per tutte: Dogecoin (ispirata a Doge il cane di razza Shiba Inu i cui meme sono un autentico tormentone sui social) che è stata adottata come “feticcio” dai “criptotrader” balzando dai 0,004 dollari di inizio anno ai 0,73 dollari di maggio (+18.000 %) e diventando la quarta criptovaluta al mondo per capitalizzazione.
Una performance strepitosa dovuta al solo valore emotivo attribuitogli dalla “community” e da qualche discutibile tweet del solito Elon Musk. Lo stesso sviluppatore di Dogecoin, Billy Markus, già da quando il prezzo era a 0,08 dollari l’aveva definita “inflazionata e con una quotazione assurda”.
Adesso i prezzi sono tornati attorno a 0,20 dollari: quindi chi li avesse comprati sulla scorta dei suggerimenti di Musk e dei tanti guru della finanza che ci sono in giro, si ritroverebbe con un 70% in meno.

Investire è un atto di grande responsabilità verso noi stessi e le persone a noi care.
Ricordiamocelo sempre.

 

Filippo Cordella
Private Banker
Fideuram-Intesa Sanpaolo Private Banking
Ancona-Civitanova-Jesi-Senigallia-Pesaro
Cell: 3200222185

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Quando i bambini nascevano sotto i cavoli

Quando i bambini nascevano sotto i cavoli

Cari amici vicini e lontani, cari clienti, cari lettori: voglio parlarVi oggi di una questione molto, molto importante: gli italiani sono sempre di meno !
Nel 2020 sono nati solo 404.000 bambini: il numero più basso dall’Unità d’Italia e quasi il 30 per cento in meno rispetto a dieci anni fa.
Non nascono più bambini e, di conseguenza, siamo sempre più anziani, l’età media è la più alta d’Europa (47 anni) e la popolazione continua a calare: dal 2015 ad oggi l’Italia ha perso ben un milione di abitanti!

Vabbé, dirà qualcuno, se gli italiani son sempre di meno, che male c’è?

Eh, invece no, cari miei: le conseguenze dal punto di vista economico, oltre che sociale, sono tante: se diminuisce il numero di chi paga le tasse ed i contributi, che fine faranno pensioni, servizi sociali, sanità ? E chi pagherà il debito monstre dello Stato italiano?

Cerco di spiegarmi meglio: visto che in media ogni italiano spende circa 17 mila euro all’anno (per mangiare, vestirsi, riscaldarsi o andare in vacanza), aver perso un milione di abitanti ha come conseguenza per l’Italia un 1% di prodotto interno lordo in meno, ogni anno.
In altre parole: meno popolazione significa meno consumi e quindi meno fatturato e meno reddito per le imprese e meno gettito fiscale per lo Stato che - di conseguenza - ha meno capacità di sostenere i costi dell’assistenza, della sanità, delle pensioni così come di rimborsare i debiti.

A questo punto, dobbiamo porci la domanda se sia il  caso di fare qualcosa.

Per quanto riguarda il problema previdenziale, la risposta è assolutamente sì: colgo anzi l’occasione per invitare tutti, ma soprattutto coloro che hanno meno di 40 anni, a rivolgersi immediatamente alla propria assicurazione, banca o consulente finanziario per chiedere lumi sul funzionamento dello strumento “fondo pensione”: una forma di previdenza privata volta ad integrare quella che domani sarà la magra pensione pubblica.

Una pensione che, se 25 anni fa garantiva lo stesso reddito percepito in età lavorativa, oggi è scesa all’80% e nei prossimi anni coprirà neanche il 50%: proviamo solo ad immaginare cosa potrà significare passare da un reddito di 2.000 € al mese ad uno di neanche 1.000 € ….
Quindi a prescindere dall’importo mensile che si riuscisse a destinare a questa forma di pensione privata l’importante sarebbe attivarla immediatamente.

Qui di seguito cerco di dare un’idea di quella che potrebbe essere l’entità dell’integrazione generata da un versamento mensile di 100 € su un generico fondo pensione di tipo azionario (con un rendimento medio annuo del 5%):
- un quarantenne si ritroverebbe con una pensione integrativa di 300 € al mese;
- un trentenne con ben 600 € al mese;
- un ventenne con addirittura 1.000 € al mese.
E’ facile quindi comprendere che prima si inizia e meglio è: se poi anziché 100 € al mese si riuscisse a mettercene 200 € sarebbe ancor meglio.

A tal riguardo ricordo che i fondi pensione possono essere accesi anche da soggetti che non hanno un proprio reddito tramite contribuzioni fatte ad esempio da un genitore (ovviamente con conseguente deduzione fiscale da parte di quest’ultimo).
Per quanto riguarda, comunque, il dettaglio dei costi, condizioni, benefici fiscali, tassazione, possibilità di riscatto, ecc fateveli spiegare per benino dal vostro consulente di fiducia.

Se, poi, anziché il fondo pensione si volesse utilizzare un semplice pac (piano di accumulo) su una sicav per costruirsi nel tempo un capitale, andrebbe bene lo stesso (pur essendo le due cose alquanto diverse per caratteristiche, prestazioni, fiscalità e logica).

Per concludere, al fine di trovare una soluzione a questa situazione di scarsa natalità (che interessa, comunque, tutta l’Europa così come gli Stati Uniti e la stessa Cina), vorrei fare un appello.

Un appello non solo alla classe politica affinché metta concretamente mano ai gravi problemi che affliggono il Paese e dia lavoro, sicurezza, stabilità agli italiani (cose essenziali per decidere di mettere al mondo dei figli) ma, soprattutto, ad una determinata categoria professionale: “Cari agricoltori tornate a piantare i cavoli nei vostri campi: abbiamo bisogno dei bambini !!!”

CORDELLA FILIPPO
Private Banker
FIDEURAM – INTESA SANPAOLO PRIVATE BANKING
Cell: 3200222185 - Tel: 071 5010432
Via XXIX Settembre, 18/a - 60122 Ancona
Altri uffici: Pesaro, Senigallia, Jesi

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Spendi, Spandi, Effendi …

Spendi, Spandi, Effendi ...

C’era una volta un mondo dove investendo in obbligazioni societarie o in titoli di stato si mettevano in tasca tanti “soldini”.

Un mondo dove, addirittura, bastava lasciare i propri denari nel conto corrente che la banca a fine anno, assieme all’agenda, ti dava anche gli interessi !

Un mondo che oggi appare davvero lontano ma che così lontano, in realtà, non è. Solo 10 anni fa, acquistare il titolo di stato di una delle nazioni più affidabili al mondo - la Germania - rendeva ben il 3,3% all’anno.

Oggi l’identico investimento non offre più né il 3%, né il 2%, né l’1%. Il bello è che non si fa nemmeno pari: pochi mesi fa si era addirittura arrivati a pagare lo 0,90% all’anno per poter avere questi bond in portafoglio: così dei 100.000 € investiti, alla scadenza decennale se ne sarebbero ricavati 91.000 € !

Tutto questo “grazie” alla politica ultra espansiva delle Banche Centrali volta a sostenere i prezzi dei titoli di Stato (soprattutto di quelli più deboli ed a rischio come i BTP) e tenere bassi gli interessi nel tentativo di far ripartire il motore dell’economia che – anche per colpa di questa maledetta pandemia – si è quasi spento.

Ci si trova così con le banche che, depositando ogni giorno presso la Banca Centrale Europea la propria liquidità in eccesso, non solo non ricevono una lira di interessi ma, da ormai 7 anni, devono addirittura pagare (attualmente lo 0,5%).

In questa assurda situazione non c’è, quindi, speranza alcuna di rivedere remunerati i conti correnti.

Anzi, stiamo addirittura assistendo a istituti di credito che chiudono i conti dei clienti che presentano saldi oltre certi importi, altri che addebitano “commissioni di giacenza”, altri ancora che stanno aumentando pesantemente i costi di tenuta conto.  In Francia e Germania, ormai da tempo, stanno applicando tassi di interesse negativi sulle giacenze.

Ma allora cosa ci si dovrebbe fare con questi “benedetti” soldi ?

Prima di tutto ognuno dovrebbe definire quanta parte della sua liquidità sia effettivamente necessaria per far fronte alle proprie esigenze di spesa e quanta invece no. Ed è proprio con quest’ultima componente che sarebbe necessario impostare una seria pianificazione finanziaria al fine di darle, nel tempo, un ritorno.

Anche perché, tanto più alta è la liquidità di un portafoglio e tanto maggiori sono gli effetti nefasti provocati dall’inflazione che – a dispetto di ciò che alcuni magari credono – c’è, eccome: al momento nell’Unione Europea sta viaggiando a + 1,3% e negli Usa a + 2,6% !

E qui sotto possiamo vedere quale può essere la differenza tra “lasciar dormire i propri soldi” e, invece, “mandarli a lavorare” (come dice un illustre professore):

A) 100.000 € lasciati nel conto corrente negli ultimi 5 anni (quando mediamente non hanno ricevuto alcuna remunerazione) oggi sarebbero rimasti tali e quali (anzi, in base a quasi un 4% di inflazione che c’è stata in questo lustro, varrebbero 96.000 €).
B) 100.000 € investiti in un portafoglio prudente (20% azionario, 70% obbligazionario, 10% oro) oggi sarebbero 132.000 €.
Una differenza di ben 32.000 €: il 32% complessivo, il 6% all’anno !!

Quanto detto sopra, sarà ancor più valido in considerazione dell’accelerazione attesa dell’inflazione nei prossimi mesi quando si comincerà ad uscire da questa pandemia: in tale fase, infatti, l’esplosione della domanda (rimasta per oltre un anno repressa) combinata con un enorme accumulo di risparmio determinerà un'impennata della spesa dei consumatori con, appunto, probabili aumenti dei prezzi e quindi dell’inflazione.

Non dimentichiamo poi che quando teniamo i soldi nel conto corrente, stiamo facendo un prestito ad una banca che, volente o nolente, ha un suo  – seppur limitato - rischio.
Rischio che, in teoria, dovrebbe essere pari a zero grazie alla presenza del Fondo Interbancario Garanzia sui Depositi creato dalle banche proprio per garantire i depositi bancari (sotto i 100.000 €): poi, però, a fronte di 1.750 miliardi di euro oggi presenti nei conti correnti, il patrimonio netto del FIGD è di 1,6 miliardi di € e la capitalizzazione (valore di mercato) complessiva delle prime 10 banche italiane è pari a 80 miliardi di euro.

Ultima questione da non tralasciare è quella relativa al fatto che la liquidità nei conti correnti costituisce l’asset più facile da colpire da parte di eventuali future manovre fiscali volte a rimettere in sesto i conti pubblici.

E a chi non si fosse ancora convinto di dover dare alla propria liquidità un giusto impiego, potrei suggerire di fare ciò che diceva il grande Rino Gaetano “SPENDI, SPANDI, EFFENDI…”.

 

Filippo Cordella
Private Banker
Fideuram-Intesa Sanpaolo Private Banking
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Come Ci si avviCina alla Cina ?

Come Ci si avviCina alla Cina ?

Prima di dare una risposta alla domanda “Come ci si avvicina alla Cina ?” è necessario chiarire i motivi per cui negli investimenti sia ormai una necessità essere posizionati anche sui mercati del “Celeste Impero”.

Prima di tutto perché la Cina ormai da anni si è affermata come uno dei principali driver della crescita mondiale; tanto che entro il 2028 supererà gli Stati Uniti e diventerà la più grande economia del mondo. Giusto per ricordarlo l’anno scorso la Cina, con un Pil a + 2,3%, è stata l'unica grande economia ad aver registrato una crescita (con le stime per il 2021 che parlano addirittura di un +6%).

E poi perché – analizzando le componenti di questa crescita – scopriamo che è sempre meno dipendente dalle esportazioni (che 20 anni fa rappresentavano il motore esclusivo) e sempre più fondata sui consumi interni: elemento questo importantissimo perché dà alle aziende cinesi immense e durature prospettive di sviluppo e crescita.

Per comprendere meglio questo aspetto, ricordo che:

  • la Cina ha una popolazione di oltre 1,4 miliardi di persone (i cinesi in giro per il mondo devo, invece, finire di contarli…..) il cui reddito procapite è destinato entro il 2030 a passare dai 6.000 $ attuali a 12.000 $;
  • la ricca classe media cinese, nei prossimi 3 anni, avrà 300 milioni di persone in più.
  • il recente Piano Quinquennale 2021-2025 varato dal Governo è incentrato sul miglioramento della produttività e sullo sviluppo della domanda interna.

Tant’è che – in base alle previsioni delle principali società di analisi - i consumi interni raddoppieranno nei prossimi 10 anni per raggiungere lo stesso livello degli Stati Uniti.

Parlando dei mercati finanziari è utile sapere che quelli cinesi (sia gli azionari che obbligazionari) si posizionano al secondo posto al mondo per volumi di scambi. Sono quindi mercati troppo grandi per essere ignorati tanto più che, essendo ancora poco pesati sugli indici globali (Bloomberg, MSCI…) nel momento in cui ci sarà l’allineamento alla loro effettiva importanza i flussi di investimento aumenteranno ulteriormente con scontati effetti positivi sulle quotazioni.

Tutti ottimi motivi, quindi, per cominciare fin da subito ad entrare anche sul mercato obbligazionario considerato che, a fronte di rendimenti globali prossimi allo zero, gli stessi titoli di stato cinesi con rating A+ (quindi pienamente Investment Grade) offrono ritorni attorno al 3%. Ovvio che, come succede ogni qualvolta si investa in asset non denominati in euro, c’è il rischio cambio da tenere in considerazione (in questo caso relativo alla divisa cinese: il Reminbi).

Per quanto riguarda, invece, l’equity è utile ricordare che sono tre i mercati su cui poter operare:

- quello storico “off shore” dove si trattano le azioni di aziende cinese quotate ad Hong Kong;

- quello interno di Shanghai e Shenzhen;

- quello complessivo di Cina, Hong Kong e Taiwan: la “Grande China”.

Io ho una particolare predilezione per quello interno (sulle azioni “A” Share) perché ancor più suscettibile d’apprezzamento in virtù del fatto che:

- è un mercato ancora poco presente sui portafogli internazionali considerando che fino a 6 anni fa era in pratica chiuso agli stranieri;
- è ancora prevalente la presenza degli investitori retail con la conseguenza che le poche società di investimento che hanno l’autorizzazione ad accedervi possono ricavarne grandi vantaggi per i propri clienti.

Volendo a questo punto dare una risposta su quali sono i migliori prodotti da utilizzare per investire sulla Cina non posso - per motivi normativi – fornire qui le denominazioni o i codici ma posso comunque dire che, per quanto mi riguarda, sono il risultato di una periodica selezione realizzata tra le decine (e per certe asset centinaia) di prodotti emessi dalle migliori società di investimento al mondo.
Una selezione LIBERA da condizionamenti e focalizzata sull’analisi dei rendimenti, sulla rischiosità (Volatilità, Var, Drawdown …) e sull’efficienza di gestione (Sharpe, Sortino, Information Ratio, Alpha, Beta … ).

E per evidenziare gli effetti positivi che un siffatto approccio può produrre sugli investimenti (ovviamente sempre in un’ottica di medio-lungo termine) termino la chiacchierata con un grafico che riporta i risultati di un’analisi che ho realizzato su 305 sicav esistenti sul mercato e focalizzate sull’azionario cinese.

Con un indice di riferimento (MSCI China) che negli ultimi 3 anni ha fatto +28,1% (linea viola) e pur in presenza di una sicav che ha realizzato uno stratosferico + 89,7% (linea verde) segnalo che la maggioranza di esse non è riuscita a fare meglio dell’indice (c'è chi si è addirittura limitata ad un +3,1% linea rossa).
Sicuramente positivo è stato l’andamento della “Selezione Cordella” col suo bel +56,6% (linea azzurra).

大家好投资!

 

Filippo Cordella
Private Banker
Fideuram-Intesa Sanpaolo Private Banking
Ancona-Civitanova-Jesi-Senigallia-Pesaro
Cell: 3200222185

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Donare: come e perché

Donare: come e perché

Collegandomi ai discorsi fatti negli ultimi miei articoli e con riferimento a diverse domande che spesso mi vengono rivolte, parleremo oggi di “DONAZIONI”.

Ed al fine di una maggiore chiarezza procederò per punti.


Cosa si intende per donazione

C’è donazione quando una persona decide liberamente di privarsi di un proprio bene per darlo ad un'altra senza chiedere, né ricevere nulla in cambio.

Sono escluse le liberalità di modico valore: il “modico valore” è da valutare soggettivamente in base alla situazione patrimoniale della persona che la fa: nel senso che quella che per Cordella potrebbe essere una donazione, per Berlusconi - in virtù del suo patrimonio da 6 miliardi di euro - magari no.

La donazione, in pratica, è un’anticipazione della successione: infatti, colui che dona un bene intacca irrimediabilmente il suo patrimonio e, quindi, l’eredità destinata ai propri congiunti quando un domani (…. meglio un dopo domani) non ci sarà più.

Da questo ne discende che quando si decide di fare una donazione è indispensabile farlo nella maniera più rispettosa possibile delle quote di legittima al fine di evitare tutta una serie di problematiche con figli, nipoti, parenti ..
Una donazione “fatta male” - che finisca per ledere i diritti degli eredi – farebbe, infatti, sorgere in capo a questi la possibilità di agire legalmente (azione di riduzione) al fine di rendere inefficace la donazione.
E’ bene, comunque, ricordare che oggi esistono in commercio polizze assicurative che garantiscono la normale negoziabilità ed il pieno godimento degli immobili ricevuti in donazione anche nel caso in cui questi fossero oggetto di azioni legali di riduzione.

Come va fatta una donazione

La donazione deve essere fatta con atto pubblico, cioè davanti ad un notaio e 2 testimoni.
Se si decidesse di fare a meno del notaio la donazione, dal punto di vista civilistico, sarebbe nulla: si dovrebbe, quindi, considerare come mai avvenuto il trasferimento della proprietà del bene donato (con tutte le conseguenze del caso).

"Donazione diretta" di un immobile

Nel caso in cui, ad esempio, dei genitori proprietari di un immobile volessero procedere a trasferire gratuitamente la titolarità del bene ad un figlio saremmo di fronte ad una donazione diretta.
Sarebbe il classico caso di donazione di immobile che tutti (a prescindere dall’età) faremmo bene a prendere in considerazione di fare al fine di evitare “fra 100 anni” ai nostri congiunti migliaia di euro (o “bitcoin”…) di imposte in più da pagare; questo a causa della futura combinazione della riforma del catasto e della revisione della normativa in tema di successioni.
Allorché i sopracitati genitori volessero mantenere il diritto di continuare ad abitare nell’immobile, si parlerebbe di “donazione con riserva di usufrutto”.

Quanto costa la "donazione diretta" di un immobile

Prima di tutto si deve considerare il costo del notaio che redige l’atto: circa l’1% del valore dell’immobile.

Poi ci sono le imposte di donazione che differiscono a seconda del livello di relazione/parentela esistente tra donante e donatario:
- tra coniugi o tra genitori e figli: 4% sulla parte di valore della casa che supera la franchigia di 1 milione di euro;
- tra fratelli e sorelle: 6% con una franchigia di 100 mila euro;
- tra cugini ed altri parenti entro il IV°grado: 6% senza alcuna franchigia;
- tra soggetti diversi da quelli precedenti: 8% senza franchigia.

Nel caso in questione (di donazione da genitori a figlio) con una franchigia di 1.000.000 € - a meno che non si tratti di una super villa - non dovrebbe esserci alcuna imposta di donazione da pagare.

Resterebbero, comunque, da sostenere:
- l’imposta ipotecaria: 2% del valore catastale (se per il beneficiario l’immobile ricevuto rappresenta la prima casa, l’imposta è fissa e pari a 200 €);
- l’imposta catastale: 1% del valore catastale (anche qui in caso di 1° casa è dovuta un’imposta pari a 200 €);
- l’imposta di registro: 200 €;
- l’imposta di bollo: 230 €

"Donazione indiretta" di immobile

Si parla, invece, di donazione indiretta qualora un genitore - volendo ad esempio aiutare economicamente un figlio nell’acquisto di una casa – decida di bonificare il prezzo direttamente al venditore oppure di versare la somma necessaria all’acquisto sul conto corrente del figlio.
In questo caso la normativa non richiede per la donazione l’atto pubblico ma la presenza del notaio è, comunque, necessaria per formalizzare il trasferimento della proprietà dell’immobile.
Da ciò ne discende un possibile - e magari importante - risparmio di imposte visto che non si pagherebbero le imposte di donazione.

Altre cose da sapere

Ci sarebbero poi diverse altre importanti cose da sapere in tema di donazioni indirette e di “donazioni informali”: ma per oggi mi fermo qui.
E buona donazione a tutti !

Filippo Cordella
Private Banker & Analista Finanziario
Fideuram-Intesa Sanpaolo Private Banking
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Cell: 3200222185

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Adda venì Baffone ?? (2a parte)

Adda venì Baffone ?? (2a parte)

Chiarito nella 1° puntata di questa mini serie che Baffone è già da tempo arrivato - viste le tante patrimoniali che negli ultimi 100 anni hanno colpito gli italiani tra cui, memorabili, quelle dei governi Nitti e De Gasperi - cercheremo oggi di concludere il discorso vedendo:

  1. ciò che succede negli altri Paesi europei e cosa dicono le istituzioni internazionali al riguardo;
  2. quali sono le azioni da intraprendere al fine di ridurre quanto più possibile l’impatto che un’eventuale prossima manovra fiscale potrebbe avere sui nostri “averi”.

A tal proposito ricordo che, a fronte di un debito pubblico monstre di circa 2.600 miliardi di euro ed un rapporto debito/pil al 165%, la ricchezza privata degli italiani è sopra ai 10.000 miliardi di euro (di cui un 40% investita in attività finanziarie ed un 60% in immobili).

Iniziamo sottolineando che praticamente in tutti i Paesi europei (Francia, Germania, Spagna, Inghilterra ….) e, ancor più in generale, nella stragrande maggioranza dei paesi OCSE (a cui aderiscono oltre all’Italia le principali 36 nazioni al mondo) gli immobili sono il bersaglio preferito dal fisco sia nell’imposizione fiscale ordinaria che in quella adottata in situazioni straordinarie: mediamente oltre la metà del gettito delle imposte patrimoniali proviene dagli immobili.

Imposte sugli immobili, oltretutto, “benedette” da tutte le organizzazioni internazionali (dall’Unione Europea, all’OCSE, al Fondo Monetario Internazionale) che, in più occasioni, hanno invitato a ridurre le imposte sui redditi da lavoro o da impresa per inasprire le imposte indirette e quelle sugli immobili in virtù del fatto che le seconde hanno un impatto sullo sviluppo economico inferiore rispetto alle prime.

Da non dimenticare poi che dal 2014 sono iniziati i lavori per la riforma del catasto al fine di creare un sistema di valutazione degli immobili che tenga conto oltre che del numero dei vani anche dell’ubicazione e della metratura. Ed il 2 luglio 2019 il Consiglio dell’Unione Europea ha ufficialmente sollecitato l’Italia a completare questa riforma visto che siamo rimasti gli unici a valutare gli immobili ancora con gli stessi criteri stabiliti nel 1939 (basati, appunto, sul numero dei vani).

Va da sé che, una volta che tale riforma sarà completata, le nostre case acquisteranno sicuramente un maggiore valore imponibile; aggiungendo a questo il possibile aumento delle aliquote è facile ipotizzare fin da ora quello che sarà il risultato finale.

Tutto ciò non farà che ridurre ulteriormente la domanda di immobili assieme ad un contemporaneo aumento dell’offerta con ovvie e ulteriori pressioni sui prezzi (oltre a quelle che già ci sono state nell’ultimo decennio).

In conclusione quella che fino a non molto tempo fa era una tipica passione italiana, quella per le case, andrà sempre più affievolendosi per i motivi appena menzionati e per altri quali la crisi economica, la diminuzione demografica, l’invecchiamento della popolazione, ecc.

Come non fare, poi, almeno un accenno al sempre più scontato prossimo inasprimento delle imposte di successione ?
A tal riguardo oltre che suggerire – a chi non avesse ancora avuto modo di farlo – di prendersi 3 minuti del proprio tempo per andarsi a leggere il mio articolo: “Speravo de morì prima…” tengo a ricordare che nella stragrande maggioranza dei Paesi OCSE (con la sola eccezione ovviamente dell’Italia) immediatamente dietro alle imposte sugli immobili ci sono le imposte di successione: la Francia ne ricava un gettito pari a 10 volte quello dell’Italia, la Spagna 3 volte, l’Inghilterra 7 volte e la Germania 6 volte !
Sapendo che, oltretutto, è l’Italia quella che ha il maggior fabbisogno di entrate fiscali o decidiamo subito – miei cari amici - di “attrezzarci” oppure un domani (meglio ancora un dopodomani) saranno davvero guai  per i nostri patrimoni !

 

Detto questo, e visto che nella decina di patrimoniali abbattutesi sulle tasche degli italiani nei decenni passati si sono sempre colpiti gli immobili e per quanto riguarda le attività finanziarie si sono quasi sempre concesse delle esenzioni a favore dei prodotti previdenziali ed assicurativi, veniamo a sintetizzare le principali azioni da mettere in campo (da considerare, in qualche maniera, un “vaccino Anti-Baffone”):

  • ridurre il peso degli immobili;
  • ridurre la liquidità in conto corrente: la più facilmente colpita da eventuali prelievi forzosi modello Amato;
  • privilegiare negli investimenti finanziari gli strumenti di risparmio gestito e, soprattutto, le polizze vita (anche per il fatto che beneficiano dell’esenzione dalle imposte di successione);
  • ridurre i beni registrati di valore (auto di lusso, barche, ecc);
  • procedere con donazioni (specie di nude proprietà immobiliari), patti di famiglia, trust, ecc.

Per quanto riguarda, infine, l’opportunità di procedere con prelievi di contanti, richieste emissione assegni circolari, aperture di conti correnti all’estero, trasferimenti della residenza fuori dell’Italia, io dico “parliamone”: alcune medicine potrebbero risultare perfettamente inutili, altre – addirittura - fare più danni della malattia.

Всем счастливого Нового года !

Filippo Cordella
Private Banker & Analista Finanziario
Fideuram-Intesa Sanpaolo Private Banking
Ancona-Civitanova-Jesi-Senigallia-Pesaro
Cell: 3200222185

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Adda venì Baffone ?? (1a parte)

Adda venì Baffone ?? (1a parte)

Prendo oggi spunto per questa nuova puntata de “Il Campo dei Miracoli” da una antica espressione napoletana “Adda venì Baffone!” usata per dire: “Arriverà prima o poi colui che metterà in ordine le cose!”

Il colui - a cui si faceva riferimento all’epoca in cui prese origine questo modo di dire - era lo spietato dittatore sovietico Joseph Stalin, famoso anche per i suoi celeberrimi folti baffi.

Un’epoca, quella della seconda guerra mondiale, in cui le persone - martoriate dalle nefaste conseguenze del conflitto - erano arrivate a porre le speranze per una veloce fine delle sofferenze sull’arrivo in Italia di Stalin che era a capo di un Paese (la Russia) in cui si pensava che le libertà fossero di casa e che fosse il popolo a comandare.

Partendo quindi dal presupposto che nella situazione odierna sono i nostri conti pubblici a dover essere rimessi in ordine (vedasi il mio articolo “E rimetti a noi i nostri debiti”), cercherò qui di dare una risposta ai seguenti quesiti:

  • quali sono le componenti dei nostri patrimoni che potrebbero essere più facilmente colpite da prossime manovre governative alla “Baffone” quali inasprimento imposte, patrimoniali, prestiti forzosi, ecc ?
  • quali, di conseguenza, dovrebbero essere le contromisure da adottare nei prossimi mesi ?

Chiarisco subito che non essendo né veggente, né indovino, al fine di arrivare a dare delle risposte non potrò che basarmi - come sempre – su fatti e dati oggettivi.
Cominciamo, quindi, subito a vedere se in Italia ci sono già state esperienze di patrimoniali/imposte straordinarie.
Seppur qualcuno possa pensare di no, la verità – purtroppo - è che ci sono state, eccome !

Intanto tutti (esclusi magari i più giovani) si ricorderanno:
1) del prelievo forzoso del 6 per mille su c/c, depositi bancari e postali operato nella notte di venerdì 10 luglio 1992 dal governo Amato alle prese con drammatiche esigenze di liquidità; governo che, sempre in quell’occasione, decise anche l’applicazione di un’imposta straordinaria sugli immobili (poi diventata ICI) ed un’altra sui beni di lusso;
2) dell’applicazione dell’imposta sulle attività finanziarie (ancor oggi esistente e pari allo 0,20%) decisa nel 2011 dal governo Monti.

Ma se queste, alla fin fine, possono essere considerate delle “sciocchezzuòle”, c’è stato dell’altro e di ben altro spessore.

Nel 1920 il governo Nitti, dopo l’uscita dell’Italia dalla 1° guerra mondiale, a fronte di un debito pubblico in forte crescita decise di colpire il patrimonio complessivo delle persone (immobili, liquidità, investimenti) con aliquote da capogiro: dal 4,5% al 51% (a seconda dell’entità dei patrimoni) tanto che il governo dovette poi concedere un ventennio di rateizzazione per consentire ai contribuenti di riuscire a pagare questa pesantissima patrimoniale.

Gli italiani non avevano ancora finito di saldare l’ultima rata della patrimoniale Nitti, che Mussolini nel 1936 introdusse una nuova imposta: il 3,5% sugli immobili. Nel 1940 fece il bis con una nuova “strigliata” sugli immobili.

A metà secolo arrivò, poi, una nuova patrimoniale targata De Gasperi che - al fine di contenere un debito pubblico nuovamente esploso con il secondo conflitto mondiale – istituì un’imposta sul patrimonio con aliquote dal 6% al 61% con la sola esclusione di alcun investimenti finanziari : quelli di tipo previdenziale ed assicurativo.

Nel 1973 in occasione della riforma del nostro diritto tributario si decise una nuova imposta straordinaria, l’INVIM, che colpiva le plusvalenze da cessione di immobili con aliquote molto importanti dal 3% al 30%.

Nel 2012 il governo Berlusconi introdusse un’imposta sugli immobili volta a finanziare gli enti locali: l’IMU.

Possiamo a questo punto chiudere la chiacchierata con già una prima importante certezza: “Baffone” in Italia è arrivato e da diverso tempo, visto che sono state circa una decina le patrimoniali abbattutesi sulla testa (e le tasche) degli italiani nei decenni passati.
Tutte con un comune denominatore: hanno sempre colpito gli immobili e quando hanno colpito le attività finanziarie sono state concesse quasi sempre delle esenzioni a favore dei prodotti previdenziali ed assicurativi, cioè di investimenti meritevoli di tutela (in quanto favorevoli per la collettività).

Altra cosa da evidenziare è che in occasione di provvedimenti decisi in situazioni di necessità/prelievi forzosi si colpiscono prima di tutto le attività immediatamente disponibili (conti correnti e depositi bancari e postali): gli altri strumenti quali titoli, fondi, sicav, gestioni patrimoniali, prodotti assicurativi - necessitando di alcuni giorni/settimane per essere liquidati – vengono, quindi, a trovarsi in posizione di vantaggio.

InvitandoVi, intanto, a fare una seria riflessione su quanto appena detto, Vi dò l’appuntamento alla 2° parte di questo post in cui andrò a specificare quelle 4-5 cose da fare per mettere in sicurezza i patrimoni.

Хорошее продолжение!

 

Filippo Cordella
Private Banker & Analista Finanziario
Fideuram-Intesa Sanpaolo Private Banking
Ancona-Civitanova-Jesi-Senigallia-Pesaro
Cell: 3200222185

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Mercati, immobili e George Clooney

Mercati, immobili e George Clooney

Essere a conoscenza di ciò che è avvenuto nel passato – sia lontano che vicino – è nel mondo degli investimenti (così come nella vita) estremamente importante.

Infatti i mercati - funzionando e muovendosi in base a decisioni umane prese sulla scorta di valutazioni razionali ma anche emotive – acquisiscono nel tempo un andamento ciclico e, in qualche modo, ripetitivo (come è ciclica e per certi versi ripetitiva la vita delle persone).

Questo è particolarmente evidente in corrispondenza di taluni eventi economici (fasi di crescita intensa o di pesanti recessioni …), politici (elezioni politiche, guerre, attentati, scandali ….) o naturali (terremoti, alluvioni, pandemie, ecc) quando i mercati - in preda a reazioni estreme di operatori ed investitori (quali euforia, avidità, paura, panico, disperazione) – finiscono per sviluppare movimenti in eccesso al rialzo o al ribasso simili a quelli magari di 10 anni prima.

Se gli investitori (e chi li consiglia) avessero piena consapevolezza di questo unitamente alla capacità e volontà (soprattutto) di adottare una “corretta strategia di investimento” i ritorni sui loro portafogli sarebbero tendenzialmente sempre in positivo.

Per “corretta strategia di investimento” mi riferisco – nel caso soprattutto della componente equity al:

1)   COME e DOVE investire:
a) mai e poi mai su singole azioni o su specifici settori economici o su singoli aree geografiche;
b) sempre ed esclusivamente utilizzando strumenti che frazionino l’investimento in una pluralità di società operanti nelle diverse aree geografiche mondiali e scelte in base ai risultati che stanno ottenendo e che potrebbero ottenere, alle prospettive dei settori in cui operano, alla bontà del loro management, ecc

2)   QUANDO e PER QUANTO TEMPO restare investiti; a tal riguardo gli ultimi 2 week end li ho trascorsi a scaricare, ordinare, gestire migliaia di dati di mercato per ritrovare l’ennesima conferma a queste semplici ma importati regole operative:
a)   mai seguire la logica del mordi e fuggi che normalmente condanna l’investitore a restare fuori del mercato e perdersi buona parte delle principali fasi di rialzo e/o rimbalzo del mercato.
Se si fosse, ad esempio, entrati 10 anni fa nel mercato azionario liquidando oggi la posizione si sarebbe riportato a casa un bel + 170%; performance che sarebbe stata, invece, negativa (-7%) solamente rimanendo fuori al mercato nelle 25 migliori sedute (evento alquanto probabile visto che 25 sedute rappresentano appena l’1% del totale di giornate di borsa aperte che ci sono in 10 anni).
A tal riguardo, ricordo anche che le maggiori fasi di rialzo dei mercati si sviluppano sempre dopo pesanti periodi di ribassi: l’anno successivo ai 6 peggiori ribassi verificatisi negli ultimi 90 anni, ha registrato un rialzo medio di + 76%: questo rafforza il discorso dell'importanza di rimanere investiti ed evitare l'impulso di scappare dal mercato durante le fasi di accresciuta volatilità.
b)   entrare e restare investiti nel mercato quanto più a lungo possibile. Infatti più si allunga il periodo di permanenza nel mercato e più:
- aumenta la % delle operazioni chiuse in utile: negli ultimi 50 anni gli investimenti della durata 1 anno si sono chiusi in utile il 75% delle volte; quelli di durata 5 anni l’88%, quelli a 10 anni il 95% e, addirittura, non hanno mai riportato una perdita coloro che hanno mantenuto in piedi l’investimento per 20 anni: in altre parole in tutti i 370 periodi della durata di 20 anni presi in considerazione nella mia analisi (gennaio 1950/dicembre 1969, febbraio 1950/gennaio 1970, marzo 1950/febbraio 1970, ….) si sono realizzate plusvalenze (mediamente del 340%) !!
- aumenta il rendimento degli investimenti: ad esempio negli ultimi 50 anni le operazioni della durata di un anno hanno avuto un ritorno medio dell’8,5% tale per cui in 10 anni entrando ed uscendo ogni anno dal mercato si sarebbe realizzato un guadagno complessivo dell’85% a fronte del +130% realizzato da chi fosse rimasto investito per 10 anni).
c)   entrare gradualmente nel tempo e rimanere investiti quanto più a lungo possibile: così facendo si realizzano (come abbiamo visto sopra) rendimenti eccezionali riducendo di molto la volatilità.

Detto questo non mi resta che suggerire a tutti – nel momento in cui assieme al vostro proprio private banker decidete l’allocazione del portafoglio – di definire, prima di tutto, quale è l’importo che, plausibilmente, pensate di non essere costretti a liquidare nei prossimi 5/7 anni.
Ipotizzando che, su un patrimonio di 500.000 €, tale quota fosse 100.000 € sarebbe questa la cifra da destinare all’investimento nel mercato azionario nei modi e nei tempi sopra suggeriti.

Mercato azionario che - nell’era dei tassi a zero sui bond - sarà sempre più la scelta obbligata di investimento di piccoli e grandi investitori (quali fondi pensione, fondazioni bancarie, assicurazioni, …) continuando a garantire il mantenimento del potere di acquisto del vostro portafoglio meglio di qualunque altro asset.
Molto meglio, ad esempio, di quello che per tanto tempo (un tempo però ormai definitivamente terminato) per tutti ha rappresentato il “non plus ultra” in tema di investimenti: il mattone.

A tal riguardo ho realizzato una tabella con cui ognuno potrà oggettivamente scoprire se il proprio immobile possa aver rappresentato (o meno) un buon investimento.

Esempio: se nell’anno 2000 si fosse acquistato per 100.000 € un immobile, valutato oggi 300.000 €, si potrebbe affermare di aver fatto un bel investimento: infatti per coprire l’inflazione registrata dal 2000 ad oggi (complessivamente il 37%) quell’immobile dovrebbe valere 137.000 € mentre se i 100.000 € usati per acquistare la casa fossero stati investiti in Borsa oggi avremmo 249.000 €

Fatta la verifica ?
Si ?!! Quale è stato, allora, il risultato del vostro investimento nel mattone ?

Per quanto mi riguarda, facendo il confronto con quanto io spesi nel 1990 per costruire (assieme a mia sorella) una bifamiliare a Fossombrone ho fatto la scoperta che se avessi optato per investire nel mercato azionario quanto allora speso nella casa, oggi avrei esattamente i milioni necessari per comprare metà di Villa Oleandra: la splendida residenza sul Lago di Como di George Clooney !!
Povero me, che brutta notizia che mi sono dato ….

Però, forse, alla fine è andata bene come è andata: vi immaginate dover vivere con George Clooney, al piano di sopra della villa, che tutti i giorni viene giù di sotto a scroccarmi il caffè ?

Aspettate: adesso chiedo anche a mia moglie che ne pensa.
Testuali parole di risposta: “Si, caro hai ragione: sarebbe stata proprio una bella rottura ....."

Strano: non mi chiama mai “caro” … e normalmente non mi dà neanche ragione.

 

Filippo Cordella
Private Banker & Analista Finanziario
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Tesla: investimento o scommessa ?

Tesla: investimento o scommessa ?

Scrivo oggi questo post per cercare di dimostrare come chiunque – purché dotato di un po’ di buon senso – possa arrivare a farsi un’idea su cosa possa essere considerato un investimento e cosa, invece, una semplice scommessa, azzardo, giocata al gratta e vinci.

E prendo spunto dal fatto che, tra le tante persone che ormai quotidianamente mi contattano, sono sempre più quelle alla spasmodica ricerca di qualche azione “interessante” da utilizzare per farci una “veloce speculazione”.

Questa cosa – che mi fa tornare indietro col pensiero di 20 anni a quando in Borsa impazzava un’euforia generale stile “vittoria finale campionato del mondo di calcio” - prende sicuramente origine dalle stupefacenti performance di alcuni titoli di società – soprattutto statunitensi - ritenute (a torto o a ragione) innovative, nel senso che stanno traendo (o potrebbero trarre) grandi vantaggi da quelle modifiche strutturali legate alla cosiddetta “disruption“ (perturbazione) in essere in ogni Paese e settore economico.

E, in tal senso, uno dei casi più eclatanti è quello di Tesla – casa automobilistica statunitense specializzata in auto elettriche ed ibride – le cui azioni negli ultimi mesi sono letteralmente esplose passando dai 43 $ del giugno 2019 ai 502 $ del 1° settembre scorso (attualmente sono attorno a 400 $).
Un incremento del 1.200% realizzato in poco più di un anno (le quotazioni sono cioè aumentate di 13 volte) che ha portato il valore complessivo della società alla cifra “monstre” di 468 miliardi di dollari: una cifra che – pensate un po’ - corrisponde a quella dei primi 10 gruppi automobilistici mondiali messi assieme (Volkswagen, Toyota, Renault-Nissan, Fca-Psa, General Motors, Ford, Honda, Daimler, Suzuki): gruppi che, però, nel 2019 hanno venduto complessivamente 61.000.000 di autovetture rispetto le sole 367.000 di Tesla !!!!

Detto questo e dando per scontato che chiunque sia consapevole che il valore di un’azienda privata dipenda principalmente dalla sua capacità di realizzare utili/guadagni, voglio porre a te, mio caro lettore/lettrice una domanda: “se stessi valutando di investire in un’attività commerciale, ad esempio comprare un bar a Fano, quali sarebbero le cose essenziali che dovresti sapere al fine di prendere una decisione oculata?
Risposta:
1) quanto guadagna mediamente all’anno questo bar;
2) qual è il prezzo chiesto dall’attuale titolare per la cessione del bar.
Quindi considerando che il valore di cessione di un’attività relativa al settore della ristorazione si aggira - largo circa – a 3, 4, 5 volte l’utile annuo realizzato (salvo poi tutte le peculiarità di ogni singola situazione), nel caso in cui – ad esempio - questo bar di Fano generasse 125.000 € “puliti” all’anno, potresti ritenere accettabile una richiesta attorno al mezzo milione di euro.
Una richiesta che, in pratica, implicherebbe che ti ci vorrebbero circa 4 anni per rientrare dall’investimento iniziale: tecnicamente parlando il Price / Earning (cioè il rapporto prezzo / utili) di questo bar è pari a 4.

Un multiplo drasticamente diverso da quello offerto da Tesla che, a fronte di una capitalizzazione di Borsa (definita come valore di una azione per il n° di azioni in circolazione) di 468.000.000.000 $ ed un utile annuo stimabile a 416.000.000 $ (in base ai risultati del 2° trimestre 2020), mostra un P/E pari a 1.125 !!!
Quindi – pur essendo vero che il settore, le dimensioni e le prospettive di Tesla sono ovviamente diverse da quelle del nostro bar di Fano – risulta evidente che un P/E a 1.125 sia una pura follia tenendo ulteriormente conto di quello dei suoi competitor: Toyota 8, General Motors 30, Volkswagen 14, ecc
Non stiamo neanche a parlare degli altri multipli (Prezzo/Vendite, Prezzo/Valore contabile, Debito/Capitale proprio, ecc): tutti assai poco attraenti ….

Se poi tenessimo anche conto che:
- all’interno di Robinhood, cioè di quella che è diventata la principale piattaforma Usa di trading-on-line usata dagli investitori retail della “razza” più aggressiva (che usano prevalentemente opzioni, derivati, cioè leva finanziaria e margin buying ed operano sui titoli più a rischio) Tesla risulta uno dei titoli più utilizzati (assieme a quelli della già decotta Hertz e delle più indebitate aziende del ramo dello shale oil).
- la Cina da sola conta per oltre un terzo delle vendite totali di Tesla. E qui mi sorgono spontanee alcune domande: “Ma siamo sicuri che durerà questo amore ?”, “ Quanto è prudente basare così pesantemente il proprio business su un attore globale (la Cina) che è anche la principale controparte commerciale degli USA ?” A tal riguardo Forbes, il 10 giugno ha pubblicato un articolo dal titolo inquietante: “Tesla downside if Cina arrests Musk”.
- la volatilità delle azioni Tesla è tra le più alte del listino: basti pensare che dal max a 502 $ segnato il 1° settembre le quotazioni - in sole 4 sedute – sono scese del 34% !!
- nello scorso maggio fu lo stesso Elon Musk, ad di Tesla, a twittare che il prezzo delle azioni della società che quel giorno erano a 155 $ era “troppo alto”: ad inizio settembre, ripeto, sono arrivate oltre quota 500 $ !!
- qualche giorno fa Warren Buffett (che non è proprio l’ultimo arrivato in tema di investimenti....) in una intervista ha dichiarato che “investire in Tesla è una pessima idea”.
ritengo che tu, caro lettore/cara lettrice, non possa avere più dubbi al riguardo: anziché comprare azioni Tesla, sarebbe meglio - molto meglio - chiamare immediatamente il proprietario di quel bar di Fano !!

E se, proprio, gestire un bar non rientrasse tra i tuoi desideri, non ti resterebbe che contattare immediatamente il miglior private banker che conosci … ed affidargli questi 500.000 €: potresti così avere un buon portafoglio finanziario che, oltre a darti dei ritorni dignitosi, ti farebbe anche dormire sonni tranquilli.

……….. e buon Spritz a tutti !!!

Filippo Cordella
Private Banker & Analista Finanziario
Cell: 3200222185

 

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